Vitassistance agenzia badanti torino milano aosta savona ! La nostra badante al vostro servizio !
Vitassistance agenzia badanti torino milano aosta savona ! La nostra badante al vostro servizio ! scrivolibero.it

IL RISCHIO DI DEMENZA STA DIMINUENDO ?

Feb 09 2016

Tra i tanti rapporti a tinte fosche che profetizzano un'imminente epidemia della malattia di Alzheimer e altre demenze, nuove ricerche offrono un promettente cambio di prospettiva. Recenti studi condotti in Nord America, nel Regno Unito e in Europa indicano che in alcuni paesi ricchi il rischio di demenza tra gli anziani è costantemente diminuito negli ultimi 25 anni.

 

Se fosse dovuta a fattori che intervengono nel corso della vita come la costituzione di una “riserva di cervello” e il mantenimento della salute cardiaca, come ipotizzano alcuni esperti, questa tendenza potrebbe confermare che mantenersi mentalmente impegnati e assumere farmaci per il controllo del colesterolo sono misure preventive efficaci.

 

A prima vista, il messaggio complessivo potrebbe confondere. La maggiore aspettativa di vita e il crollo della natalità stanno facendo aumentare la popolazione anziana globale. “Se ci sono più persone di 85 anni, è quasi certo che ci saranno più malattie legate all'età”, spiega Ken Langa, professore di medicina interna dell'Università del Michigan. Secondo il World Alzheimer Report 2015, in tutto il mondo l'anno scorso 46,8 milioni di persone hanno sofferto di demenza, e ci si aspetta che loro numero raddoppi nei prossimi 20 anni.

 

Guardando più da vicino, tuttavia, i nuovi studi epidemiologici rivelano un andamento che può lasciare spazio alla speranza. “Le analisi condotte nell'ultimo decennio in Stati Uniti, Canada, Regno Unito, Paesi Bassi, Svezia e Danimarca indicano che un soggetto di età compresa tra 75 e 85 anni ha un un minor rischio di avere l'Alzheimer oggi rispetto a 15 o 20 anni fa”, ha spiegato Langa, che ha discusso la ricerca sulla diminuzione dei tassi di demenza in un articolo apparso nel 2015 su “Alzheimer’s Research & Therapy”.

 

La prova più evidente emerge dal Cognitive Function and Aging Study (CFAS), guidato da Carol Brayne, docente di medicina dell'Università di Cambridge. Lo studio ha monitorato adulti britannici di età maggiore di 65 anni di tre città negli anni novanta e nuovamente nel 2010.

 

Durante quel periodo, i tassi di demenza nella popolazione più anziana sono diminuiti del 24 per cento in termini relativi, e dall'8,3 al 6,5 per cento in termini assoluti. In altre parole, se nello stesso periodo la frequenza delle demenze nei senior fosse rimasta la stessa, ci sarebbero state 214.000 persone con demenza in più oltre le 670.000 documentate.

 

Gli studi in Canada, così come nei Paesi Bassi, in Svezia e in altre parti d'Europa, indicano anche che il rischio di demenza è diminuito negli ultimi decenni. Langa e colleghi hanno riferito su “Alzheimer’s & Dementia” che negli Stati Uniti la percentuale di adulti oltre i 70 anni di età con deficit cognitivo è diminuita dal 12,2 all'8,7 per cento tra il 1993 e il 2002. I soggetti erano parte di uno studio longitudinale finanziato dal National Institute on Aging (NIA), che ha monitorato un campione rappresentativo di 20.000 adulti ogni due anni.

 

Eppure, altre ricerche non non confermano questa tendenza. Uno studio guidato da Denis Evans, direttore del Rush Institute for Healthy Aging di Chicago manda un messaggio più equilibrato. Evans e colleghi hanno stimato i nuovi casi di Alzheimer tra il 1997 e il 2008 e non hanno trovato alcun cambiamento nel tempo. Un altro studio ha stimato, sulla base dei dati del Census Bureau degli Stati Uniti, che il numero di persone con Alzheimer approssimativamente triplicherà entro il 2050 e la percentuale di anziani con demenza tenderà ad aumentare.

 

Tutto considerato, Langa concorda sul fatto che sia molto probabile che a causa della maggiore aspettativa di vita, il numero assoluto di persone con Alzheimer e altre forme di demenza salirà nei prossimi anni. Egli nota tuttavia che se il rischio di demenza di un adulto anziano continua a diminuire, come si è verificato in alcuni paesi sviluppati negli ultimi decenni, “l'incremento nel numero di casi può essere un po' meno sorprendente di quello che sarebbe stato se il rischio fosse rimasto lo stesso”.

 

I differenti risultati potrebbero derivare dalle differenti premesse: Evans assume che il numero di nuovi casi di demenza rimarranno gli stessi nei prossimi decenni, mentre Langa tiene in considerazione la possibilità che il rischio di demenza potrebbe diminuire a causa dei cambiamenti negli stili di vita e nelle misure di prevenzione nell'ultimo quarto di secolo.

 

Che cosa potrebbe causare il trend verso la diminuzione della frequenza di demenza? Anche se la questione non può trovare una risposta definitiva, altre analisi hanno collegato il fenomeno a un migliore controllo dei fattori di rischio cardiovascolare, come l'ipertensione e un elevato livello di colesterolo, alla costruzione di una “riserva cognitiva” conseguente a un più elevato livello di scolarità. Le persone con patologie croniche, tuttavia, contribuiscono a complicare il quadro. I soggetti con diabete di tipo 2, per esempio, sono a più elevato rischio di demenza. Alla luce dell'incremento dei livelli di diabete e di obesità, è possibile che queste condizioni possano compensare o addirittura sovra-compensare la tendenza al miglioramento, spiega Langa.

 

In questi studi epidemiologici, inoltre, il numero di casi riportati di demenza potrebbe essere influenzato artificiosamente da diversi fattori. Il primo è semplicemente la crescente consapevolezza della malattia di Alzheimer, che aumenta la probabilità che i medici pongano questa diagnosi rispetto ad alcuni decenni fa, anche a parità di deficit cognitivo. E potrebbe anche essere più probabile che gli stessi medici indichino l'Alzheimer come causa di decesso nei certificati di morte.

 

In secondo luogo, la ricerca nel campo del neuroimaging e la ricerca di base tese a identificare potenziali trattamenti sta spostando l'attenzione verso le fasi precoci dell'evoluzione della malattia, nella convinzione che intervenire precocemente sia la più grande chance per le persone che ancora non patiscono un deficit troppo grave. Per l'Alzheimer non esistono cure, anche se alcuni farmaci possono alleviarne i sintomi. “Dal punto di vista clinico, il concetto di sindrome da demenza è cambiata”, dice Brayne. “Utilizzando gli attuali criteri, le diagnosi avvengono a uno stadio molto più precoce”.

 

Anche se è plausibile un'influenza dell'aumentata consapevolezza della malattia e dei cambiamenti negli standard diagnostici, i maggiori problemi con la valutazione della demenza potrebbero essere di tipo metodologico, spiega John Haaga, vicedirettore del NIA per la ricerca comportamentale e sociale. Diversi laboratori utilizzano differenti misure, e a distanza di 15 anni lo stesso gruppo potrebbe utilizzare due misure diverse. “Quanta parte del cambiamento è reale e quanta parte è dovuta alle differenze di misurazione?”, si chiede Haaga.

 

Evans vede un problema più profondo negli studi epidemiologici sulle malattie croniche nei pazienti anziani. Anche se la malattia viene catalogata in modo binario, cioè come presente o non presente, le cause sottostanti sono spesso un processo continuo. “Quando si diagnostica la malattia di Alzheimer, si stabilisce un valore di soglia su una curva della funzione cognitiva, che ha una forma a campana”, spiega Evans. “Il altre parole, si sta separando la 'coda' della curva dei casi di Alzheimer da quella dei casi non-Alzheimer; ora, porre il valore di soglia nello stesso punto ogni volta è difficile: anche ricercatori ben addestrati possono fare cose diverse in momenti differenti”, spiega Evans. Inoltre, poiché il punto si trova in un punto della curva molto pendente, “anche una piccola differenza nel punto scelto può fare una grande differenza nel modo in cui si distinguono le due parti della curva”

 

Haaga ritiene che, complessivamente, i dati epidemiologici stiano migliorando. “Mentre nel passato spesso estrapolavamo dati da piccoli campioni, stiamo iniziando ora a parlare di trend in popolazioni nazionali”. In più, sono in corso progetti per armonizzare gli insiemi di dati, il che dovrebbe rendere più facile il confronto di risultati di differenti studi. Questo diventerà particolarmente importante via via che saranno disponibili dati di altre parti del mondo, come i paesi sviluppati, dove si prevedere che la crescita relativa dei casi di demenza supererà quella delle nazioni a elevato reddito.

 

Due terzi (66 per cento) delle persone con demenza vivono nei paesi a basso e medio reddito, dove sono stati condotti meno del 10 per cento degli studi di popolazione. Come suggerisce il nome, lo studio 10/66 sta analizzando i trend della demenza e dell'invecchiamento in queste regioni. In India, per esempio, le persone non vivono a lungo quanto i cittadini di molti paesi sviluppati, ma l'aspettativa di vita cresce costantemente, determinando un più brusco aumento del numero di casi di demenza tra gli anziani. "Per avere l'Alzheimer o altre demenze, devi vivere abbastanza a lungo", dice Langa.

 

Ma i cambiamenti nell'aspettativa di vita possono avere effetti differenti su diverse malattie. Eileen Crimmins, gerontologa della University of Southern California, studia in che modo l'aspettativa di vita influenza il carico delle malattie croniche, misurato dal momento in cui una persona ha bisogno di aiuto e di cure. Due fattori contribuiscono a questo fenomeno: le variazioni nella mortalità e le variazioni nell'età d'insorgenza della malattia.

 

"Ritardando la morte, è possibile ritrovarsi con più persone malate per un tempo più lungo", ha detto Crimmins a "Scientific American". "Questo è quanto è successo con le malattie cardiache". Attualmente negli Stati Uniti, sempre più persone sono affette da cardiopatie rispetto a decenni fa, anche se la mortalità per malattie cardiache sono diminuiti. i trend di mortalità e d'insorgenza delle malattie, tuttavia, hanno avuto un ruolo più favorevole per la demenza. Al giorno d'oggi, il numero delle persone con un deficit cognitivo e inferiore, e le persone non vivono più a lungo con deterioramento cognitivo, spiega Crimmins.

 

Crimmins, Brayne e Langa discuteranno le ricerche sul crollo del rischio di demenza in un incontro il 13 febbraio in occasione della riunione annuale dell'American Association for the Advancement of Science a Washington. “La tendenza è interessante", sottolinea Haaga, che modererà l'incontro. “Tuttavia, non voglio dare l'impressione che in qualche modo il problema ora sia risolto”. Anche se la demenza si riscontra in percentuali sempre più basse nella popolazione anziana, che è sempre più ampia, spiega Haaga, il morbo di Alzheimer "è già la malattia più costosa negli Stati Uniti, e i suoi costi continueranno a crescere".

 

In tutto il mondo, il costo della demenza nel 2015 è stato stimato in 818 miliardi di dollari. Entro il 2030, si prevede che diventerà una malattia da 2000 miliardi di dollari. Per quanto riguarda il rischio individuale, tuttavia, "le cose non stanno peggiorando", spiega Crimmins. "Anche se si tratta solo dell'inizio di una tendenza, la probabilità che ciascuno di noi vada incontro a demenza diventa sempre più piccola”.

 

FONTE: http://www.lescienze.it/news/2016/02/06/news/tendenza_diminuzione_demenza_mondo-2960821/

 

 

 

Letto 1529 volte
Vota questo articolo
(0 Voti)