Secondo una ricerca condotta da alcuni scienziati statunitensi, un aiuto consistente nella lotta contro alcune malattie neurodegenrative come Parkinson, Alzheimer e Huntington potrebbe arrivare da un composto chimico noto come acido salicilico. Che, per chi non lo sapesse, è l'elemento fondante dell'acido acetilsalicilico, ossia il principio attivo di uno dei più comuni medicinali al mondo: l'aspirina.
I ricercatori della John Hopkins University e del Boyce Thompson Institute della Cornell University hanno scoperto la capacità dell'acido salicilico di legarsi al GAPDH, impedendogli quindi di raggiungere il nucleo della cellula, dove ne innescherebbe la morte. La gliceraldeide-3-fosfato deidrogenasi, o GAPDH) è un enzima fondamentale nella glicolisi (il processo metabolico del glucosio), ma che in particolari condizioni, come ad esempio uno stress ossidativo causato da un eccesso di radicali liberi, possono penetrare nel nucleo dei neuroni, causandone la morte.
Si tratta di un meccanismo già noto tra i ricercatori nell'ambito delle malattie neurodegenrative: composti come la selegilina hanno infatti lo scopo di bloccare l'ingresso nel nucleo cellulare del GAPDH, rallentando gli effetti di malattie come il Parkinson, la depressione e la demenza senile. Quest'ultima ricerca, pubblicata su PLOS One, ha mostrato come un risultato simile potrebbe essere ottenuto grazie all'acido salicilico.
"È adesso noto che l'enzima GAPDH, del quale si è pensato a lungo che funzionasse soltanto nel metabolosimo del glucosio, partecipi al passaggio dei segnali tra le cellule", spiega Solomon Snyder, professore di neuroscienze alla Johns Hopkins University, tra gli autori della ricerca. "Il nuovo studio mostra come questo enzima sia un bersaglio per i farmaci salicilati connessi all'aspirina, e quindi potrebbe essere rilevante per le azioni terapeutiche di questi medicinali".
Gli studi sulle malattie neurodegenerative stanno ottenendo ottimi risultati sia dal punto di vista dei farmaci in grado di combatterle, come nel caso del paper statunitense, che nell'analisi dei meccanismi che le causano. In quest'ultimo caso è di una certa importanza una ricerca svolta dall'altra parte del mondo, e precisamente nell'australiana University of New South Wales.
Come spiegato in un paper pubblicato su Nature Communications, gli scienziati coinvolti hanno verificato come i livelli nelle sinapsi di una proteina nota come NCAM2 siano significativamente più bassi nei soggetti affetti da Alzheimer, suggerendo quindi una connessione con l'insorgere della malattia ed il suo avanzamento.