Coronavirus: quanto tempo ci vorrà per ottenere il vaccino?

Lug 08 2020

 

Considerate le complesse tempistiche di elaborazione di questi farmaci, “un anno o 18 mesi sarebbero assolutamente un caso senza precedenti,” avvisa un esperto.

 

I vaccini fermano le epidemie prima che si diffondano, come dimostrato da più di due secoli di utilizzo della tecnologia medica per combattere con successo nemici come il morbillo e l’influenza. Le aziende farmaceutiche e le università stanno facendo una corsa contro il tempo per lo sviluppo di un vaccino contro il COVID-19, con almeno 62 tentativi attualmente in corso, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità.

 

Gli esperti sono ottimisti sull’efficacia del vaccino sulla base dei primi esami che confermano che i pazienti affetti da coronavirus producono anticorpi, le proteine del sangue che attaccano e neutralizzano i virus.  Gran parte dell’entusiasmo si è concentrato su Moderna Therapeutics, che aveva una prima possibilità pronta per le sperimentazioni cliniche appena 42 giorni dopo la pubblicazione della sequenza genetica del nuovo coronavirus.

 

Ma mentre i funzionari pubblici e la stampa si sono affrettati a menzionare questo come uno sviluppo da record, la biotecnologia alla base di questo farmaco esiste da quasi 30 anni, e non ha mai prodotto un vaccino adatto per nessuna malattia umana (Moderna Therapeutics non ha risposto alla richiesta di commento in merito). Se il passato ci insegna qualcosa, il mondo dovrà aspettare almeno un anno, se non di più per il vaccino contro il coronavirus.

 

Per il vaccino contro la parotite, considerato il più veloce mai approvato, ci sono voluti quattro anni dalla raccolta dei campioni virali all’autorizzazione della licenza del farmaco nel 1967. Gli studi clinici sono articolati in tre stadi: le prime fasi degli studi attuali sul COVID-19 non è previsto siano completati prima del prossimo autunno, la primavera 2021, o ancora più tardi. E ci sono buone ragioni per concedere tutto il tempo per i controlli di sicurezza. Alcuni vaccini preliminari per il coronavirus “parente” della SARS, ad esempio, hanno in realtà potenziato la malattia negli esperimenti di laboratorio.

 

“Da un anno a 18 mesi sarebbe una tempistica assolutamente senza precedenti,” afferma Peter Hotez, preside della Baylor University’s National School of Tropical Medicine. “Forse con le nuove tecnologie, forse investendo abbastanza fondi, accadrà. Ma dobbiamo essere davvero prudenti su queste previsioni”. Tuttavia Sergio Abrignani, immunologo e ordinario di Patologia generale all'Università Statale di Milano e direttore dell'Istituto nazionale di genetica molecolare ha dichiarato che "per avere un vaccino efficace serviranno 2-3 anni" e che i test non confermano il "patentino di immunità". "Una persona potrebbe avere tanti anticorpi ma non essere protetta, come avviene per esempio nell'infezione da Hiv e nell'epatite C, in cui la risposta immunitaria c'è ma è inutile" ha aggiunto.

 

Percorsi multipli

 

Tutti i vaccini funzionano stimolando il sistema immunitario dell’organismo a reagire a un invasore straniero, sia esso un virus, un batterio o un parassita. I metodi classici prevedono l’isolamento di un intero virus, il suo indebolimento o annientamento, e poi l’iniezione dei suoi resti nell’organismo dell’uomo. È così che sono stati realizzati i tradizionali vaccini per il vaiolo, il morbillo e l’influenza, afferma Ali Salem, sviluppatore di terapie farmacologiche e professore alla University of Iowa’s College of Pharmacy.

 

Questa tecnica di vecchia scuola si basa sulla reazione del sistema immunitario alle singole proteine prodotte dal germe, generalmente quelle che ricoprono la superficie del virus e che stimolano il corpo a produrre anticorpi. Con il tempo i produttori di vaccini hanno capito che non avevano bisogno di un intero virus, ma che potevano sostituire una singola proteina per generare una forte risposta immunitaria. Questi vaccini basati sulle proteine sono più facili ed economici da realizzare e sono diventati la tipologia più comune utilizzata dagli operatori sanitari, afferma Maria Elena Bottazzi, decano associato alla Baylor University’s National School of Tropical Medicine.

 

Uno dei maggiori problemi nello sviluppo di un vaccino anti COVID-19 è che non esiste nessun predecessore clinicamente provato per nessun tipo di coronavirus umano. Le epidemie di SARS nel 2002 e di MERS nel 2012, entrambe causate dai cugini virali del nuovo coronavirus, sono state colpi di avvertimento che hanno causato circa 1600 vittime.

 

“Abbiamo assistito a un’epidemia di coronavirus in ogni decennio, nel XXI secolo” afferma Hotez, che ha diretto il Texas Children’s Hospital Center for Vaccine Development insieme a Bottazzi, dove vengono prodotti vaccini proteici per patologie trascurate e coronavirus. Ma se da un lato quelle epidemie hanno allertato il mondo sul potenziale virulento della famiglia dei coronavirus, dall’altro il focolaio della SARS si è esaurito più velocemente di quanto fosse necessario per lo sviluppo di un vaccino, e la MERS ha generato troppi pochi casi per ricevere i finanziamenti necessari per gli sviluppatori.

 

Mentre le prime prospettive di aziende come Moderna alimentano l’entusiasmo e la speranza per un veloce successo, i vecchi candidati basati su una simile biotecnologia hanno faticato a dimostrarsi efficaci nell’uomo. I farmaci di questo tipo depositano nelle cellule umane del materiale genetico di base di un virus, il DNA o l’RNA, e qui poi costruiscono le proteine necessarie per attivare una risposta immunitaria.

 

I vaccini a base di DNA e RNA hanno il vantaggio di essere più veloci da sviluppare, una volta che il produttore ha reso pubblico il genoma del microbo. Sono anche più facilmente modificabili in modo da ottimizzare una risposta immunitaria efficace. Questa strategia ha sempre funzionato in modelli animali delle malattie, e un secondo candidato simile per il COVID-19 è entrato nella fase di sperimentazione clinica il 6 aprile, sulla base dei precedenti risultati positivi con la MERS. Ma Bottazzi e Hotez affermano che gli esseri umani sono animali diversi, e temono che tutto questo clamore sui vaccini a base di DNA e RNA possa alimentare false speranze.

 

“Se consideriamo tutti i tentativi che sono stati fatti per i vaccini contro l’HIV usando la piattaforma DNA, ci accorgiamo che non è stata scoperta la formula esatta per far entrare queste molecole di DNA nelle cellule giuste” afferma, citando anni di ripetuti fallimenti dei vaccini contro l’HIV. “È una scienza ancora piuttosto oscura. Ecco perché sono ancora sperimentali”.

 

Chi riceverà il vaccino per primo?

 

Il dibattito sul miglior modo di sviluppare un vaccino contro il COVID-19 potrebbe sembrare accademico, ma il suo risultato potrebbe determinare quanto costerà realizzare il farmaco e di conseguenza, chi potrà permetterselo. Bottazzi, Hotez e Salem affermano tutti che fornire vaccini a base di DNA e RNA potrebbe costare sostanzialmente di più delle varietà tradizionali.

 

“Vedremo molte nuove tecnologie impiegate nello sviluppo clinico, e credo che sia positivo perché impareremo molto” afferma Hotez, che insieme a Bottazzi ha spinto per un vaccino a basso costo contro i coronavirus per 10 anni. “La nostra preoccupazione maggiore è che le persone più povere del mondo vengano ignorate in questo processo.”

 

Per evitare che ciò accada, i leader mondiali potrebbero doversi riunire e siglare un accordo globale di accesso al farmaco, afferma Seth Berkley, medico epidemiologo e CEO della GAVI Alliance, un’associazione sanitaria internazionale dedicata ad ampliare la possibilità di accesso alle vaccinazioni. Un tale accordo potrebbe aiutare a garantire alle popolazioni vulnerabili, anziani, operatori sanitari, persone in centri poveri di risorse (o aziende e università che hanno vinto la corsa), la precedenza nel ricevere il vaccino.

 

Per esempio, il vaccino contro l’Ebola è stato sviluppato in Canada, trasferito a ricercatori accademici e aziende biotecnologiche negli Stati Uniti, e alla fine prodotto in Germania. Ora, grazie alla diffusa vaccinazione, la seconda più grande epidemia di Ebola del mondo potrebbe essere finalmente finita.

 

IL VIRUS EBOLA

 

Un accordo di accesso globale potrebbe portare anche alla creazione di più di un vaccino anti COVID-19, ognuno efficace, ma con prezzi diversi per mercati diversi. Una simile organizzazione si è verificata in passato per i vaccini contro lo pneumococco e il papilloma virus umano (HPV), afferma Bottazzi.

 

Se verrà fuori un vaccino contro il COVID-19, una grande domanda aperta è quanto durerà la sua immunità. "Se con un’unica somministrazione l’immunità durerà tutta la vita, sarà un’ottima notizia per il mondo” afferma O’Donnell del Penn Presbyterian Medical Center. Tuttavia l’immunità ai coronavirus che causano il raffreddore tipicamente dura solo un anno o due, il che suggerisce che potrebbero essere necessari richiami stagionali di vaccino anti COVID-19.

 

Nel frattempo, afferma O’Donnell, la cosa più preziosa che ognuno di noi può fare per aiutare gli operatori sanitari, è seguire le indicazioni per la salute pubblica: “Praticare il distanziamento sociale, restare a casa, lavarsi le mani, non toccarsi il viso. Prendete più precauzioni possibili per evitare di contrarre questa infezione”.

 

FONTE: https://www.nationalgeographic.it/scienza/2020/04/coronavirus-quanto-tempo-ci-vorra-ottenere-il-vaccino

 

 

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