Tanti vantaggi

I Vantaggi - Assistenza domiciliare anziani, malati e disabili

Si chiama “Scelta sociale” la nuova misura della Regione destinata a rivoluzionare il mondo dell'assistenza socio-sanitaria piemontese con l’erogazione di un buono da 600 euro al mese per due anni, rinnovabili, a sostegno delle famiglie con anziani o disabili non autosufficienti.

 

Per finanziarla la Regione impegna 90 milioni del Fondo sociale europeo, 45 per il sostegno economico per l'inserimento in strutture residenziali socio-sanitarie e 45 milioni per l'acquisto di servizi di cura e assistenza domiciliare.

 

Un provvedimento rivoluzionario”, lo ha definito il presidente Alberto Cirio nel corso della presentazione, precisando che “non stiamo annunciando, stiamo investendo e spendendo soldi veri, che abbiamo a disposizione e che per la prima volta stanziamo per una misura di questo tipo. Un risultato ottimo che va nella direzione di aiutare le famiglie che hanno anziani o disabili in casa o nelle strutture, ma anche le stesse strutture a far sì che gli ospiti abbiano le risorse per pagare le rette".

 

“Continuiamo a mettere a frutto ciò che ho imparato negli anni di lavoro a Bruxelles - ha proseguito Cirio - e aver ottenuto 90 milioni di euro da mettere a disposizione delle famiglie di persone non autosufficienti e disabili gravi per noi è estremamente importante, perché ci permette di dare a queste famiglie un supporto concreto. E credo che questo sia il dovere che noi abbiamo per non lasciare nessuno indietro”.

 

“Il tema - ha dichiarato l’assessore al Welfare Maurizio Marrone - è la libertà di scelta della famiglia, che potrà decidere quale contributo richiedere. Sarà anche un impulso al lavoro degli assistenti familiari e un incentivo all'emersione del nero. Con questi 90 milioni di fondi europei, che aggiungiamo a quelli già a bilancio regionale, mettiamo sulla non autosufficienza oltre il doppio di quanto non abbiano mai stanziato le Giunte precedenti, a partire da quella Chiamparino. La misura interesserà coloro che attualmente non accedono ad alcun tipo di contribuzione pubblica a sostegno di questi servizi, come ad esempio gli accreditati Rsa non coperti da convenzione, oppure tante famiglie con disabili gravi a casa. Essere al loro fianco è un nostro dovere in questo momento di crisi economica e sociale. Basti pensare che a fronte degli annunciati aumenti di retta nelle Rsa, dovuti ai rincari, che dovrebbero assestarsi tra i 600 e i 2.000 euro annui, attraverso la nostra misura metteremo nelle tasche dei beneficiari 7.200 euro all'anno per due anni”.

 

Come ottenere i buoni

 

I buoni da 600 euro mensili, per 24 mesi rinnovabili, saranno destinati a persone anziane o disabili non autosufficienti. Le assegnazioni saranno legate all'Isee socio-sanitario, che non dovrà essere superiore a 50.000 euro, o 65.000 in caso di disabile minorenne, ed alla priorità per punteggio sociale secondo le valutazioni delle Unità socio-sanitarie competenti (Uvg e Umvg).

Saranno assegnati tramite due bandi regionali: uno per la domiciliarietà e uno per la residenzialità. La domanda si potrà presentare tramite la piattaforma "Scelta sociale", che sarà attiva dall’inizio del 2023 su www.piemontetu.it Nella fase di caricamento e istruttoria i beneficiari riceveranno supporto direttamente dalle strutture prescelte, in caso di scelta di residenzialità, e dagli enti gestori dei servizi socio-assistenziali in caso di domiciliarietà.

Il beneficiario o la sua famiglia potranno poi decidere di utilizzare il buono per l'assistente familiare di cui si ha necessità (badante, infermiere, oss, educatore) assunto in proprio o individuato e contrattualizzato da cooperative sociali/servizi socio assistenziali/agenzie di somministrazione di lavoro. Oppure, per l'inserimento in una struttura residenziale socio-sanitaria (Rsa per anziani non autosufficienti, Raf per disabili, comunità alloggio, gruppo appartamento, comunità di tipo familiare e socio-assistenziale per disabili gravi).

 

FONTE: https://www.regione.piemonte.it/web/pinforma/notizie/scelta-sociale-600-euro-mensili-per-anziani-disabili-non-autosufficienti

 

 

 

 

 

 

Tra due giorni, i Paesi europei conteranno due mesi esatti dall’inizio della campagna vaccinale più complessa della loro storia. E pur nel ritardo complessivo di tutto il continente, non è andata nello stesso modo per tutti. L’Italia nelle prime tre settimane è partita più veloce della media europea, ma da allora ha iniziato a rimanere un po’ indietro. La Francia è partita piano, mentre dalla terza settimana ha recuperato. Oggi Italia e Francia viaggiano quasi appaiate: la prima ha vaccinato almeno con una dose il 6% della popolazione, la seconda il 5,9%.

Questi dati non rispondono però a una domanda essenziale, vista la capacità di Covid-19 di discriminare in base all’anno di nascita dei contagiati: chi ha già ricevuto le somministrazioni? Saperlo è utile, perché in Italia l’86% delle vittime del virus aveva 70 anni o oltre. Quante dosi sono state date agli anziani, visto che il Paese anche di recente ha continuato a perderne oltre diecimila al mese? E quante ai giovani?

 

La distribuzione del vaccino per età

 

Pochissimi Paesi europei informano sulla scomposizionedei vaccini in base all’età. Il ministero della Salute tedesco, a ripetute richieste del Corriere della Sera in proposito, non ha mai risposto. Italia e Francia invece sono molto trasparenti, ma proprio la ricchezza dei loro dati — del ministero della Salute e di Geodès Santé Publique — fa emergere differenze radicali nell’approccio fra i due Paesi. A ieri, la Francia aveva vaccinato un esercito di anziani in più rispetto all’Italia: con almeno una dose, ne aveva messi un po’ meglio al sicuro quasi 900 mila settantenni o oltre in più. In realtà probabilmente lo scarto è maggiore, perché il ministero della Salute di Roma informa solo sul totale di dosi somministrate per età e molti anziani nelle case di riposo ne hanno ricevute già due. Ne ha coperti almeno 485 mila in più nella fascia dei settantenni (70-79) e almeno 406 in più fra chi ha 80 anni e oltre, pur con dimensioni della popolazione quasi uguali in queste fasce d’età. Dato che quasi nove vittime su dieci di Covid fanno parte di quelle generazioni, la differenza può avere implicazioni serie.

 

Le scelte differenti di Italia e Francia

 

Com’è stato possibile? Senz’altro, ci sono scelte di priorità diverse fra Roma e Parigi ed entrambe sembrano scientificamente difendibili. In Italia il piano del ministero della Salute del 12 dicembre ha teso a proteggere prima tutto il «personale socio-sanitario» definito «in prima linea», a prescindere dall’età degli addetti. L’intenzione era di fare tutto perché il sistema sanitario continuasse a funzionare e di intervenire su coloro che possono diffondere più facilmente il virus (per esempio, un infermiere ventenne asintomatico, ma contagioso, che gira in corsia fra degenti anziani).

 

In Francia invece un comitato di esperti della Haute Autorité de Santé ha raccomandato di dare priorità alle persone di oltre 75 anni, poi a quelle di oltre 65 anni e in terzo luogo ai professionisti del settore sanitario o socio-sanitario «di almeno 50 anni» o a rischio per altri motivi (elencando 60 studi scientifici a supporto del proprio parere).

 

Anziani trascurati dalla campagna di vaccinazione

 

Ma davvero è tutto qua? Lo squilibrio nella distribuzione dei vaccini in Italia per ora è davvero importante. I settantenni (70-79 anni) in Italia hanno ricevuto appena il 3,7% delle dosi anche se sono il 10% della popolazione e uno su dieci fra loro, se contagiato, muore. In Italia anche i ventenni (20-29) sono il 10% della popolazione, eppure hanno ricevuto il 10% delle dosi benché fra loro muoia appena un contagiato su mille. Quanto agli ottantenni, fra i quali i decessi avvengono in due casi di contagio su dieci, a lunedì avevano avuto molte meno dosi dei trentenni (che pure muoiono in sei casi su mille).

 

Il giallo delle dosi in più al «personale sanitario»

 

Bisogna dunque chiedersi se qualcosa è andato storto. Perché sia i dati sia le testimonianze dal mondo ospedaliero lo fanno pensare. Non è chiaro ad esempio perché il «personale socio-sanitario» abbia ricevuto a ieri 2,25 milioni di dosi, quando in base ai dati ufficiali Istat l’intero personale sanitario italiano pubblico e privato (medici generici e specializzati, infermieri, odontoiatri, ostetriche, farmacisti) risulta di 725 mila persone. Per vaccinarle tutte con doppia iniezione - come sarebbe stato comprensibile - bastavano 1,4 milioni di dosi. Invece questo gruppo sociale «socio-sanitario» ne ha assorbite ottocentomila in più: numero quasi uguale a quello degli anziani italiani protetti in meno rispetto ai loro coetanei francesi.

 

A chi sono andate le 800 mila dosi «svanite»

 

Dove sono finite quelle 800 mila dosi? Non certo o non tutte a personale «in prima linea» come da piano strategico del ministero. In parte, sembrano andati agli iscritti di un certo numero di ordini professionali collegati più o meno direttamente al mondo sanitario (anche solo ai laboratori di ricerca), o iscritti agli ordini ma in pensione, o a almeno parte dei circa 350 mila addetti amministrativi della sanità pubblica o privata. Una volta stabilita la connessione sociale o professionale, i criteri d’accesso per chi faceva parte degli «insider» di alcuni gruppi sono diventati straordinariamente elastici. In una certa logica molto italiana (e molto iniqua) a tanti, troppi è diventato impossibile dire di no. E gli anziani più fragili possono attendere: loro qui, in fondo, sono «outsider».

 

FONTE: https://www.corriere.it/economia/lavoro/21_febbraio_25/vaccini-covid-uffici-d8a3b3d8-76d9-11eb-843a-1237b4657d5e.shtml

 

 

 

Sei morti e 33 positivi: il coronavirus è entrato anche nella Rsa Villa Terruzzi di Concorezzo, alle porte di Monza. Oltre 100 i casi, tra pazienti anziani e operatori, nell’Istituto Don Orione di Avezzano (L’Aquila).

Dopo i focolai emersi nei giorni scorsi, da Alberobello in Puglia a Sesto Fiorentino in Toscana, la preoccupazione per le residenze per anziani resta al livello massimo.

 

Bisogna evitare quanto successo in primavera, quando il contagio ha colpito le strutture dove vivono proprie le persone più esposte. La Regione Puglia ha disposto le visite contingentate, un parente alla volta e massimo un incontro al giorno con obbligo di indossare mascherine e guanti, evitando contatti con altri ospiti della struttura. In altri Regioni, come l’Emilia-Romagna, alcune strutture sono già chiuse ai parenti.

 

Nella Rsa Villa Terruzzi di Concorezzo sono positivi al Covid 33 su 37 pazienti presenti nella struttura. Il nuovo focolaio ha già provocato 6 morti. La direzione – come scrivono Il Corriere della Sera e Il Giorno – aveva già disposto degli accertamenti qualche tempo fa e i risultati erano stati venti positivi su 23, quasi tutti asintomatici.

Nei giorni scorsi, però, la situazione si è aggravata. Le visita dei parenti sono state sospese e i contatti con i famigliari avvengono solo con videochiamata. Ora si attendono i risultati dei tamponi effettuati su 34 operatori. Intanto nella provincia di Monza, 800mila abitanti circa, si è arrivati mercoledì a 150 nuovi casi in 24 ore.

 

Si aggrava ancora di più la situazione del focolaio in atto nella Rsa dell’Istituto Don Orione di Avezzano: i casi di positività sono peggiorati rispetto ai 70 emersi in serata.

 

Sono complessivamente oltre 100, di cui circa 85 anziani e la restante parte operatori sanitari, un numero rilevante che potrebbe mettere in ginocchio gli ospedali provinciali già a dura prova per l’impennata di contagi. I tamponi negativi sono riferiti agli altri 35 ospiti che sono stati trasferiti al terzo piano per essere isolati rispetto ai malati di covid. Nel primo piano si è insediato un reparto covid con medici e paramedici che controllano da vicino e ininterrottamente le condizioni degli anziani pazienti.

Per ora sono 4 gli anziani ricoverati in ospedale tra cui il sacerdote. Nella struttura religiosa sono presenti circa 120 anziani e una sessantina di medici e paramedici.

 

FONTE: https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/10/15/coronavirus-altri-casi-nelle-residenze-per-anziani-33-positivi-e-6-morti-a-monza-oltre-100-contagi-ad-avezzano/5967227/

 

 

In circa mille Rsa italiane dal primo febbraio ad oggi ci sono stati 2.724 decessi dovuti al Covid (364) oppure a sintomi simil-infuenzali (2.360) che fanno pensare comunque al coronavirus, anche se alla persona morta non è stato fatto il tampone.

In tutto le morti degli ospiti di queste strutture, anziani non autosufficienti, sono state 6.773, quindi quelle che sono o potrebbero essere legate alla pandemia rappresentano il 40%.

Il dato arriva dalla survey dell'Istituto superiore di sanità sulle strutture per anziani non autosufficienti nel nostro Paese, presentata questa mattina. I decessi per coronavirus o sintomi influenzali in Lombardia, la Regione più colpita, sono stati 1.625 su 266 Rsa analizzate (il totale è di circa 700).

 

Graziano Onder, direttore del dipartimento malattie cardiovascolari endocrino-metaboliche e dell'invecchiamento dell'Istituto ha sottolineato che osservando i decessi bisogna tenere conto del fatto che a febbraio probabilmente circolava ancora anche un po' di influenza, che potrebbe essere la causa di alcuni dei casi non classificati come legati al Covid-19.

Ma dai dati risalta anche come la maggior parte dei decessi osservati nello studio (addirittura il 43% in Lombardia) si concentri a marzo, specialmente nelle seconde due settimane.

 

Il lavoro dei ricercatori si basa su un questionario, ad adesione volontaria, inviato dall'Istituto a tutte le Rsa presenti nel suo archivio, cioè 3.420. Si tratta di un dato non completo perché nel nostro Paese le residenze per anziani sarebbero circa 4.500 ma comunque molto significativo. Siamo arrivati alla terza edizione della survey, che adesso prende in considerazione 1.082 strutture dove vivono 80.131 ospiti.

La maggior parte si trovano al Centro-Nord perché questo tipo di residenze si concentrano soprattutto in questa zona del Paese.

 

APPROFONDIMENTI L'epidemia nelle rsa

Quelle analizzate in Emilia sono 114, in Veneto 142, in Piemonte 135, in Toscana 156. Ebbene, come visto la Lombardia è la Regione con i dati più critici. Qui i pazienti morti per Covid o sintomatologia compatibile sono stati il 53,4% del totale dei decessi (in tutto 3.045) e il 6,7% degli ospiti di queste strutture.

 

Seguono l'Emilia con 300 morti (4% degli ospiti delle strutture prese in considerazione) e la Toscana con 159 (2,1%).

Ai responsabili delle strutture è stato chiesto anche quali sono state le principali difficoltà dall'inizio dell'epidemia e l'82,7% hanno risposto “la mancanza di dispositivi di protezione indivuduale”. Il 46,9% ha invece citato l'impossibilità di eseguire tamponi, il 33,5% l'assenza di personale e il 25,9% le difficoltà nell'isolamento.

 

L'INCHIESTA Il caso del Pio Albergo Trivulzio

Tutti problemi legati alla diffusione dell'epidemia in queste strutture che in larghissima parte sono private e magari convenzionate con il pubblico e che riscuotono dagli ospiti, Comuni e dalla Regione tra i 3 e i 4 mila euro al mese per ogni anziano.

 

FONTE: https://www.repubblica.it/cronaca/2020/04/17/news/i_numeri_dell_iss_settemila_morti_nelle_rsa_da_febbraio_la_meta_per_coronavirus_-254274207/?refresh_ce

 

Il coronavirus sta monopolizzando le nostre vite. A partire dal mondo dell'informazione. oggi concentrato quasi esclusiovamente su tale malattia . Ma cos'è il coronavirus e come comportarsi nel caso si manifestino sintomi? E quando e in che modo curarsi? Ecco un piccolo manuale con tutto quello che c'è da sapere.   

    

Coronavirus

COVID sta per COrona VIrus Disease, malattia da coronavirus del 2019. Il virus, SARS-CoV-2, appartiene alla famiglia dei coronavirus, già diffusi negli animali e negli uomini.

 

Sintomi Coronavirus

Quelli tipici dell’influenza: febbre, raffreddore, tosse, mal di gola. Nei casi più gravi il virus può causare polmoniti o difficoltà respiratorie.

 

Diffusione

Il contagio avviene attraverso contatti stretti con persone già infette, come in corso di influenza. Si monitorano i casi di permanenza nella zona Rossa locale.

 

Zona rossa

A livello internazionale: Cina , Corea del Sud, Iran, Hong Kong, Giappone e Singapore

 

Zona rossa in Italia

Dal 29 febbraio ad oggi sono 9.362 i pugliesi rientrati da zone a rischio. Di questi 2.545 quelle persone che hanno compilato il modulo online di autosegnalazione per dichiarare di essere rientrate in Puglia dalla Lombardia e dalle province di Modena, Parma, Piacenza, Reggio nell’Emilia, Rimini, Pesaro e Urbino, Alessandria, Asti, Novara, Verbano-Cusio-Ossola, Vercelli, Padova, Treviso e Venezia. Queste persone, secondo quanto previsto dall’ordinanza del presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano, dovranno restare in quarantena per 14 giorni.

Le zone rosse sono aggiornate in tempo reale sul sito del Ministero della Salute e Organizzazione Mondiale della Sanità.

 

Isolamento fiduciario

Chi è transitato o ha sostato negli ultimi 14 giorni nelle zone rosse ha l’obbligo di comunicarlo al medico di medicina generale, se residente, o al Dipartimento di prevenzione dell’azienda sanitaria competente per territorio: Toscana Nord Ovest (Pisa, Livorno, Lucca, Massa Carrara, Viareggio): 050 954444; Toscana centro (Firenze, Prato, Pistoia, Empoli): 055 5454777 . Toscana sud est (Arezzo, Grosseto, Siena): 800 579579. Umbria 800 63 63 63 . La Spezia 0187 534551 digitare 0 ‘igiene pubblica)

Il soggetto si pone così, senza necessità di provvedimenti ad hoc dell’autorità sanitaria in isolamento fiduciario domiciliare sotto il controllo dell’Asl. Trascorso il periodo di 14 giorni senza il manifestarsi di sintomi, si considera non affetto. Qualora si manifestino sintomi si sottopone a tampone faringeo (vedi)

 

Quarantena

Coloro che abbiano avuto contatti stretti con persone affette da coronavirus sono sottoposte su provvedimento ad personam dell’autorità sanitaria (sindaco del comune di residenza) a quarantena. Che si svolge al proprio domicilio o in strutture indicate

 

Contatti stretti

Sono considerati tali

 

1) l’operatore sanitario o altra persona impiegata nell’assistenza di un caso sospetto o confermato di COVID-19, o personale di laboratorio addetto al trattamento di campioni di SARS-CoV-2

 

2) chi è stato a stretto contatto (faccia a faccia) o nello stesso ambiente chiuso con un caso sospetto o confermato di COVID-19.

 

3) chi viva nella stessa casa di un caso sospetto o confermato di COVID-19.

 

4) chi abbia viaggiato in aereo nella stessa fila o nelle due file antecedenti o successive di un caso sospetto o confermato di COVID-19, compagni di viaggio o persone addette all’assistenza, e membri dell’equipaggio addetti alla sezione dell’aereo dove il caso indice era seduto. Il collegamento epidemiologico deve essere avvenuto entro un periodo di 14 giorni precedenti

 

Esito della quarantena

Se durante i 14 giorni di isolamento non si presentano sintomi il soggetto non è colpito da Covid 19. Se invece si manifestano sintomi influenzali (febbre, tosse, raffreddore, mal di gola) il paziente viene sottoposto a tampone faringeo

 

Tampone faringeo

Viene effettuato al domicilio del paziente da parte del personale Asl. Se il tampone dà esito negativo, il soggetto è non colpito. Se positivo il paziente prosegue la quarantena con monitoraggio della sintomatologia clinica. Se i sintomi scompaiono il soggetto resta sotto osservazione fino a quando il tampone non è negativizzato e la persona viene classificata guarita. Se la sintomatologia rimane lieve il paziente resta a casa e l’Asl monitora il suo quadro clinico fino a guarigione, che si registra con la competa negativizzazione del tampone.

 

Ricovero ospedaliero

Avviene in caso di tampone positivo associato a sintomatologia grave con trasferimento presso l’unità malattie infettive dell’ospedale di riferimento (o altri indicati dall’Asl). In caso di sintomi influenzali associati a polmoniti o insufficienza a respiratoria il ricovero avviene nelle unità di terapia intensiva o subintensiva.

 

FONTE: https://www.lanazione.it/cronaca/coronavirus-guida-cure-e-conoscenza-malattia-1.5060110

Buone notizie sul fronte Alzheimer: negli Stati Uniti si va verso la commercializzazione di un farmaco sperimentale che sarebbe in grado di rallentare il declino cognitivo dei malati. Si tratta di “Aducanumab”, un anticorpo specifico che agisce a contrasto della proteina 'beta-amiloide", alla base della demenza tipica dell’Alzheimer.
Attualmente non esiste in commercio un farmaco in grado di curare l’Alzheimer, e se 'Aducanumab' si rivelasse efficace, come sembra, si tratterebbe di una rivoluzione in grado di aiutare milioni di persone.

 

L’ azienda Biogen, che sta sperimentando 'aducanumab', sta per chiedere l’autorizzazione all’organo regolatorio Usa sui farmaci (la FDA) per poterlo commercializzare, dopo che la stessa azienda aveva quasi rinunciato a continuare la ricerca, poiché i dati dei primi trial clinici non sembravano soddisfacenti. Ripresi gli studi, si era invece giunti a buoni risultati aumentando il dosaggio dell’anticorpo, giungendo a risultati che fanno ritenere che il farmaco possa effettivamente essere efficace per rallentare il declino mentale che colpisce le persone con Alzheimer.

 

Nella nota della Biogen si spiegano i miglioramenti registrati nei malati che hanno utilizzato  ‘aducanumab’ per testarne l’efficacia: memoria, orientamento e linguaggio sembrano migliorati. Inoltre azioni quotidiane come i lavori domestici e gli spostamenti fuori casa in autonomia sono risultati più eseguibili in autonomia dai partecipanti al trial. Questi risultati, inoltre, dimostrerebbero quindi che agire proprio sui beta amiloidi sia la strada da seguire per contrastare la decadenza cognitiva, aprendo così anche allo sviluppo di altri composti per rallentare non solo Alzheimer ma anche altre patologie neurodegenerative. 

 

Quanto alle tempistiche, ora la palla passerà alla Food and Drug Administration che dovrà valutare efficacia e sicurezza del farmaco, con la possibilità di procedere per il  mercato USA, si spera per il 2020, in un primo momento per i malati partecipanti al trial. L’azienda, inoltre, dichiara di programmare un dialogo con le autorità regolatrici anche nei mercati internazionali, inclusa Europa e Giappone.

 

FONTE: https://www.disabili.com/medicina/articoli-qmedicinaq/alzheimer-nel-2020-potrebbe-arrivare-il-primo-farmaco-che-rallenta-il-declino-cognitivo

 

La buona notizia è che, finalmente, la truffa agli anziani dovrebbe diventare un reato autonomo e sarà punito con la reclusione da 2 a 6 anni e una multa da 500 a 2.000 euro. Il disegno di legge che cambia le regole è stato approvato all’unanimità in Senato, ora manca solo il via libera della Camera.

Se tutto andrà bene, una bella vittoria per noi dell’Unione Nazionale Consumatori che ci siamo battuti a lungo per la difesa dei soggetti più esposti a truffe e raggiri ad opera di quanti approfittavano della condizione di debolezza degli anziani per spillare soldi, spacciandosi per venditori o fornitori di gas, telefono etc. D’ora in poi dovranno risarcire integralmente la persona truffata se vogliono usufruire della sospensione condizionale della pena.

 

La circonvenzione degli anziani, oggi, ricade nel reato di truffa previsto dall’art. 640 del codice penale, con pene da uno a cinque anni di carcere e multa da 51 a 1032 euro. Con la nuova legge diventerà un reato autonomo applicabile a chiunque che “abusando della condizione di debolezza o di vulnerabilità dovuta all’età di una persona, induce taluno a compiere un atto che importi qualsiasi effetto giuridico per lui o per altri dannoso”.

Quello delle truffe ai danni degli anziani è un fenomeno sempre più diffuso. I dati del ministero dell’Interno mostrano aumento del numero di reati: le vittime di truffa tra chi ha più di 65 anni sono salite da 14.461 nel 2014 a 15.909 nel 2015, fino ad arrivare a 20.064 nel 2016.

 

Insomma, un settore nel quale i truffatori si sono negli anni specializzati: abili seduttori, capaci di scegliere tempi e modi per far cadere nella trappola l’anziano. Arrivano nelle case soprattutto di mattina, quando è più facile trovare l’anziano da solo, si presentano spesso con la scusa di conoscere un familiare e talvolta riescono a far firmare contratti capestro o a carpire informazioni sensibili come le coordinate bancarie.

 

Frequente il caso di persone che si spacciano per impiegati che lavorano per enti di recupero crediti e richiedono somme di denaro. A tal proposito, è bene sapere che nessuno (né una banca, né un ente di riscossione) potrebbe inviare un funzionario presso la nostra abitazione. Non apriamo dunque la porta e se proprio abbiamo un dubbio, facciamo una telefonata alla nostra banca per le opportune verifiche.O ancora i truffatori fermano il malcapitato di turno per strada offrendosi di accompagnarlo alla posta o in banca con l’unico intento di reperire informazioni utili a truffarlo.

 

Seppur molti anziani sanno difendersi benissimo da soli, può essere utile dare qualche consiglio per non cadere nella trappola:

- Non aprite la porta a sconosciuti: l’esperienza ci insegna che aprire la porta può far prendere coraggio a chi vuole importunarci (sia esso un venditore insistente o anche un vero e proprio truffatore) e a far cadere le difese psicologiche della persona anziana che avrà più remore a liberarsi bruscamente di chi lo sta importunando rispetto a quanto potrebbe fare un giovane.

 

- Fatevi accompagnare quando fate operazioni di prelievo o versamento in banca o alla posta, soprattutto nei giorni in cui vengono pagate le pensioni.

 

- Quando utilizzate il bancomat usate prudenza: evitate di operare se vi sentite osservati.

 

- Se qualcuno vi importuna, fingete di ricevere una telefonata o chiamate una persona cara magari facendo credere che vi raggiungerà di lì a poco.

 

- Non firmate nessun modulo o contratto, in ogni caso fatevi lasciare una copia per farla visionare a un vostro familiare. In questo caso, sappiate che siete sempre in tempo per ripensarci: diritto di recesso si può esercitare entro 14 giorni dalla stipula del contratto (per i contratti di fornitura di servizi) e dalla consegna dei beni (se avete acquistato dei prodotti). Se invece non siete stati informati sul diritto di recesso, il termine sarà di 12 mesi decorrenti dalla fine del periodo di recesso iniziale (quindi, in totale, 14 giorni più 12 mesi) e per farlo potete sempre contare sull’aiuto dei nostri esperti.

 

- Un consiglio che poi può sembrare bizzarro ma è molto utile è poi quello di avere cura della propria spazzatura  e della buca postale da cui si possono carpire informazioni sulla famiglia, indirizzi…

 

Altre sono disponibili sul sito dell’Unione Nazionale Consumatori (leggi anche Truffe agli anziani, come difendersi). Ma se avete bisogno d’aiuto, contattate i nostri esperti allo sportello dedicato.

 

FONTE: https://www.today.it/blog/unione-nazionale-consumatori/truffe-anziani.html

Le persone con disabilità hanno diritto all’esenzione del bollo auto sia quando questa è intestata a loro sia quando è intestata al familiare di cui risultano fiscalmente a carico. Qui vediamo in cosa consiste questa agevolazione, quali requisiti, come e a chi inviare il modulo per ottenere l’esenzione del bollo auto per disabili.



COS’E’ L’ESENZIONE DEL BOLLO AUTO - Il diritto all’esenzione del bollo auto fa parte di un insieme di agevolazioni fiscali che, per quanto riguarda il settore auto, comprendono anche l’iva agevolata al 4% sull’acquisto, la detrazione Irpef del 19%, l’esenzione dal pagamento dell’imposta di trascrizione e, appunto, l’esenzione dal pagamento del bollo auto. Questa ultima agevolazione alleggerisce le persone disabili dal pagamento di una tassa (il bolo auto, appunto), al quale sono tenute tutte le persone proprietarie di un veicolo registrato nel PRA (Pubblico Registro Automobilistico).



BENEFICIARI E INTESTATARI - Per poter richiedere l’esenzione dal pagamento del bollo auto, l’intestatario della macchina può essere sia la persona con disabilità, sia il familiare di cui è fiscalmente a carico. Ricordiamo che una persona è considerata fiscalmente a carico entro un reddito annuo di 2840,51 euro (non vanno conteggiate le provvidenze assistenziali come indennità, pensioni o gli assegni erogati agli invalidi civili). L’esenzione può essere concessa anche in caso di auto cointestata tra persona disabile e familiare di cui non sia fiscalmente a carico.  
A seconda del tipo di disabilità possono essere necessarie diverse documentazioni relative lo stato di disabilità o modifiche del veicolo. Lo vediamo qui:



a) Sordi, non vedenti e ipovedenti gravi (residuo visivo non superiore a 1/10)
- non è richiesto adattamento del veicolo
- certificazione attestante la cecità, parziale o assoluta o il sordomutismo, rilasciata da commissioni pubbliche deputate  



b) Disabili con handicap psichico o mentale (titolari di indennità di accompagnamento)
- non è richiesto adattamento del veicolo
- la persona disabile deve essere un invalido civile titolare di indennità di accompagnamento. Sono esclusi quindi i disabili titolari di indennità di frequenza. Iin taluni casi  unitamente al verbale di handicap con connotazione di gravità (art. 3 comma 3, legge 104/1992);



c) Disabili con grave limitazione della capacità di deambulare
- non è richiesto adattamento del veicolo
- è richiesto il riconoscimento dell'handicap con connotazione di gravità (articolo 3, comma 3, legge 104/1992)



d) Disabili affetti da pluriamputazioni
-  non è richiesto adattamento del veicolo
-  è richiesto il riconoscimento dell’handicap con connotazione di gravità (articolo 3 comma 3 della Legge 104)



e) Disabili con ridotte o impedite capacità motorie
- è richiesto adattamento del veicolo



Solo per i disabili con ridotte o impedite capacità motorie è necessario, per fruire dell’esenzione, che il mezzo sia adattato in funzione delle ridotte capacità motorie permanenti della persona che la utilizza. Tra i veicoli adattati alla guida sono compresi anche quelli dotati di solo cambio automatico, purché prescritto dalla commissione medica locale e riportati nella patente di guida o nel foglio rosa.
L’esenzione spetta anche per i veicoli allestiti per il trasporto della persona disabile. In questo caso per poter contare sulle agevolazioni, devono essere opportunamente allestititi con almeno uno degli adattamenti previsti dal Ministero dei Trasporti e cioè:



1. pedana sollevatrice ad azionamento meccanico/elettrico/idraulico;
2. scivolo a scomparsa ad azionamento meccanico/elettrico/idraulico;
3. braccio sollevatore ad azionamento meccanico/elettrico/idraulico;
4. paranco ad azionamento meccanico/elettrico/idraulico;
5. sedile scorrevole - girevole simultaneamente;
6. sistema di ancoraggio delle carrozzelle con relativo sistema di ritenuta (cinture di sicurezza);
7. portiera/e scorrevole/i.



ATTENZIONE – Nei verbali più recenti di invalidità, sordità, cecità civile e handicap possono essere già indicati anche i requisiti che danno diritto alle agevolazioni fiscali per i veicoli. Quando è presente la dicitura Persona con “ridotte o impedite capacità motorie permanenti (articolo 8, legge 27 dicembre 1997, n. 449)” si ha diritto alle agevolazioni fiscali senza obbligo di adattamenti del veicolo. Questo è quanto previsto dal decreto legge 9 aprile 2012, n.5 (legge 4 aprile 2012, n. 35).



NON possono accedere all’agevolazione gli autoveicoli (anche se specificatamente destinati al trasporto dei disabili) intestati ad altri soggetti, pubblici o privati, come enti locali, cooperative, società di trasporto, taxi polifunzionali, ecc.



PER QUALI VEICOLI – L’esenzione spetta solo su un veicolo per volta.  È possibile ottenere nuovamente l’agevolazione per un secondo veicolo solo se il primo, per il quale si è già beneficiato dell’agevolazione, viene venduto o cancellato dal PRA.
Su auto nuove o usate con motore a benzina la cilindrata è fino a 2000 centimetri cubici, e fino a 2800 centimetri cubici quelle con motore diesel.



QUANDO PRESENTARE DOMANDA – Nelle Regioni convenzionate con ACI, la domanda per l’esenzione va presentata entro 90 giorni dalla scadenza del pagamento della Tassa Automobilistica. Il termine, tuttavia, non è perentorio, pertanto un eventuale ritardo nella presentazione della documentazione necessaria non fa perdere il diritto all’agevolazione.



Se ci è stata riconosciuta l’esenzione dal pagamento del bollo auto per il primo anno e non abbiamo sostituito la macchina, non è necessario ripresentare domanda, poiché l’agevolazione è valida anche per gli anni successivi, senza bisogno di rispedire tutta la documentazione.



A CHI SI PRESENTA DOMANDA – La domanda di esenzione del bollo auto disabili va fatta agli uffici collegati al Ministero delle finanze, allegando la documentazione richiesta.



Per le Regioni convenzionate con ACI la domanda può essere presentata presso gli Uffici Provinciali dell’ACI oppure presso le Delegazioni dell’Automobile Club. Dove non presente, la domanda va presentata all’ufficio tributi della propria regione o all’Agenzia delle Entrate.



QUALI DOCUMENTI PRESENTARE – Per ottenere l’esenzione occorre produrre la seguente documentazione:



Domanda di esenzione sottoscritta e datata dall’intestatario o da soggetto legittimato a termini di legge.
Copia della carta di circolazione dalla quale risultano gli eventuali adattamenti necessari al trasporto o (per i titolari di patente) i dispositivi di guida applicati al veicolo
Copia della certificazione rilasciata da una Commissione Medica Pubblica, attestante la patologia che comporta ridotte o impedite capacità motorie (Commissione medica art.3della Legge 104/92, commissione medica pubblica invalidi civili, invalidi sul lavoro, invalidi di guerra).
Copia della patente di guida speciale se l’intestatario è il guidatore (non è richiesta per i veicoli adattati solo nella carrozzeria, da utilizzare per l’accompagnamento e la locomozione dei disabili);
• Atto, anche in copia, attestante che la persona disabile è fiscalmente a carico dell’intestatario del veicolo, o dichiarazione sostitutiva di certificazione, in luogo dell’atto, ove necessario.

 

FONTE: https://www.disabili.com/mobilita-auto/articoli-mobilita-a-auto/esenzione-bollo-auto-disabili-ecco-il-modulo-come-richiederla-e-scadenza

 

Il declino cognitivo è uno tra gli aspetti più temuti della vecchiaia. Spaventa l’idea di non riuscire più a compiere le azioni di ogni giorno, l’impossibilità di ricordare date e fatti, l’incapacità di vivere in modo autonomo e indipendente.

Tuttavia, esistono piccoli accorgimenti che possono aiutare a prevenire tale declino. Comportamenti, anche “banali”, da mettere in atto per migliorare la propria memoria. A dirlo è uno studio pubblicato su “Neurology”, la rivista dell’American Academy of Neurology, e condotto dalla Rush University Medical Center di Chicago. Il risultato? Chi si muove di più, anche tra le mura di casa, stimolerebbe meccanismi dall’effetto protettivo, capaci di contrastare l’invecchiamento del cervello e di prevenire così la demenza senile.

 

Lo studio ha coinvolto 454 anziani, di cui 191 affetti da demenza senile; ogni anno, per vent’anni, sono state testate le loro condizioni fisiche e le abilità di memoria e di ragionamento. E, negli ultimi due anni della loro vita (i pazienti sono deceduti ad un’età media di 91 anni, e hanno donato alla ricerca i tessuti cerebrali), con un accelerometo capace di individuare ogni movimento corporeo compiuto nel corso della giornata, è stata monitorata la loro attività fisica.

Ciò che è emerso è che gli anziani che si muovono di più durante il giorno hanno una migliore capacità di ragionamento e una maggiore memoria. Così come gli uomini e le donne con abilità motorie (coordinazione, equilibrio) significative. Ecco dunque che, fare regolare attività fisica, riesce per davvero a proteggere il cervello, aiutando la memoria e le capacità cognitive; e non si tratta di correre, o di andare in palestra, ma di compiere semplici movimenti tra le mura di casa come svolgere le mansioni domestiche o fare brevi “passeggiate” tra le stanze. Gli anziani che compiono tali azioni migliorano dell’8% i punteggi di memoria e ragionamento logico, quando sottoposti a test.

 

Analizzando poi i tessuti cerebrali, i ricercatori hanno fatto un’ulteriore scoperta: anche in presenza di biomarcatori di Alzheimer e demenza, l’equazione maggiore movimento uguale più memoria rimane valida. Muoversi è quindi importantissimo, non solo per restare in forma (e abbassare così il rischio di diabete e malattie cardiovascolari) ma anche per il proprio cervello. Su quali attività puntare? In caso non si possa fare esercizio fisico vero e proprio, come spesso da anziani succede, sono perfette le attività quotidiane: apparecchiare la tavola, fare giardinaggio, camminare, fare la spesa, cucinare. Se invece si potesse andare in piscina o in palestra, le attività da privilegiare sono il nuoto, lo stretching e gli esercizi per aumentare la coordinazione ed esercitare l’equilibrio.

 

FONTE: https://dilei.it/salute/declino-cognitivo-attivita-in-casa-migliorano-la-memoria/582663/

Il morbo di Alzheimer è una malattia neurodegenerativa a decorso cronico e progressivo che, a causa di un’alterazione delle funzioni cerebrali, provoca il declino progressivo sia della memoria sia delle funzioni cognitive, fino alla perdita completa dell’autonomia. È la causa più comune di demenza nella popolazione anziana dei Paesi ricchi: attualmente si stima ne sia colpita circa il 5% della popolazione al di sopra dei 65 anni e circa il 20% degli ultra-85enni, anche se in rari casi può colpire precocemente intorno ai 50 anni di vita. Prima di manifestarsi in modo evidente, però , l’Alzheimer attraversa una fase che può durare diversi anni, durante la quale, nonostante i sintomi siano minimi, la malattia è al lavoro. Individuare i segnali della presenza dell’Alzheimer già in questa fase aumenta la potenzialità delle cure disponibili e di quelle future, in quanto esse agiscono su un sistema solo parzialmente compromesso e quindi più sensibile al trattamento.

 

Ebbene, da un recente studio, pubblicato su Frontiers in Aging Neuroscience ed effetuato da un team di ricercatori dell’Università di Bologna in collaborazione con professionisti dell’Unità di Neuropsicologia Clinica dell’Arcispedale Santa Maria Nuova di Reggio Emilia, è emerso che i primissimi sintomi dell’Alzheimer sono nascosti tra le pieghe del linguaggio: in alcuni piccoli errori.

 

Nello studio clinico sono stati presi in esame 96 partecipanti, metà dei quali con segni di deterioramento cognitivo lieve, una condizione che può precedere l’insorgere del morbo di Alzheimer. Durante l’esperimento è stato chiesto a ciascun paziente di descrivere a parole prima i dettagli di un’immagine mostratagli, poi una tipica giornata di lavoro e infine l’ultimo sogno che ricordava. Le risposte sono state analizzate utilizzando tecniche di elaborazione del linguaggio in grado di esaminare il ritmo e il suono delle parole, l’uso del lessico e della sintassi e altri dettagli. Confrontando le risposte dei soggetti affetti da deterioramento cognitivo lieve con quelle dei soggetti privi di disturbi, la sfida dei ricercatori era trovare segnali della presenza di deterioramento cognitivo che i test neuropsicologici convenzionali non sono in grado di identificare. Una sfida che, al termine dell’analisi, ha restituito i risultati sperati: gli studiosi sono riusciti a individuare specifiche alterazioni nell’uso della lingua parlata nei pazienti che presentano i primi segni di deterioramento cognitivo. Si tratta, dunque, di un metodo che potrebbe anticipare notevolmente il riconoscimento dell’insorgere della malattia e consentire di attivare così per tempo misure terapeutiche adeguate ad alleviare l’impatto nella vita quotidiana.

 

FONTE: http://salute.ilgiornale.it/news/27965/alzheimer--linguaggio-deterioramento-cognitivo/1.html