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Alzheimer, un nuovo modello per studiarlo indaga la malattia prima che si manifesti

Nov 20 2017

NON esistono terapie in grado di guarire dalla malattia. E non esistono neanche ancora sistemi validati che permettano di riconoscere la patologia prima che si presenti con i suoi effetti devastanti: vuoti di memoria, sbalzi di umore, difficoltà a parlare, a mettere insieme posti e luoghi nella propria mente. Assenze, e bisogni, che fanno della ricerca sull'Alzheimer uno dei campi più vivi del panorama medico, che avanza anche ai passi compiuti in ambito preclinico. Proprio in questo campo, nei giorni scorsi, è arrivata la notizia che un gruppo di ricercatori d'Oltralpe ha messo a punto un nuovo modello animale di malattia, capace di mimare l'andamento dell'Alzheimer in modo simile a quanto osservato negli esseri umani. La scoperta, che apre la strada a nuovi possibili sistemi diagnostici della malattia così come nuove possibilità di test per i farmaci, è stata presentata sulle pagine di Cerebral Cortex.

 

UN NUOVO MODELLO. Molti dei modelli usati nella ricerca biomedica sono su animali transgenici. Si tratta di animali nel cui genoma è stato inserito del Dna per modellare lo sviluppo di una condizione che replichi o si avvicini a quelle umane. "Il nostro modello, battezzato AgenT, ha qualcosa di diverso – racconta Nicola S. Orefice, ricercatore italiano all'Institut national de la santé et de la recherche medicale (Inserm) in Francia – qualcosa che permette di replicare gradualmente la malattia, mostrandone la fase silente, ovvero prima che avvenga la deposizione delle placche amiloidi, considerato un punto di non ritorno". Le placche amiloidi sono una delle caratteristiche distintive della patologia di Alzheimer: si tratta di depositi in cui si accumula la beta-amiloide, una molecola prodotta in eccesso nella malattia e tossica per la sopravvivenza dei neuroni. Un'altra caratteristica distintiva della malattia è la formazione di ammassi della proteina Tau (nella forma fosforilata).

 

TUTTE LE FASI DELLA MALATTIA. Nel nuovo lavoro, i ricercatori del Cea, dell'Inserm, della Paris-Sud, della Paris-Descartes e del CNRS, sotto la supervisione di Jérôme Braudeau, hanno messo a punto un nuovo modello animale della malattia, capace di mostrare contemporaneamente entrambe queste caratteristiche della malattia, ma non solo. “Quello che abbiamo fatto è stato creare un modello animale, nel ratto, in cui è possibile provocare gli stati precoci della malattia, come quella in cui avviene la produzione della beta amiloide ma non si aggrega a formare le placche”, riprende Orefice. Per farlo gli scienziati hanno utilizzato un approccio alternativo agli animali transgenici, utilizzando un vettore virale, contenente le istruzioni per la produzione della beta amiloide e versioni del gene della presenilina-1 associate a forme famigliari della malattia (il gene in questione codifica per enzimi coinvolti nella formazione della beta amiloide stessa). "A questo punto abbiamo inserito il vettore virale all'interno dell'ippocampo, la regione più colpita, nelle fasi iniziali, nella malattia, e abbiamo osservato cosa accadeva nel tempo", continua Orefice, "In questo modo abbiamo visto che nelle fasi iniziali osserviamo una fase infraclinica, detta anche fase silente, ritenuta ancora reversibile, e abbiamo potuto studiare anche come la fase di aumento della concentrazione della beta amiloide causa l'iperfosforilazione della proteina tau". Una teoria su cui i ricercatori continuano a discutere. Nel corso dello studio i ricercatori sono riusciti a riprodurre tutte le fasi della malattia, spiegano, da lieve a grave, mimando nel modello animale quanto osservato nella clinica, in modo graduale, sia nel tempo che nei sintomi.

 

BIOMARCATORI E TEST PER NUOVI FARMACI. L'idea è che, grazie al modello e alle analisi biochimiche su possibili biomarcatori della malattia, si possa arrivare un giorno a sviluppare un test del sangue per la diagnosi di Alzheimer, "magari già intorno ai 50 anni", va avanti il ricercatore. Ma la speranza è che il modello aiuti anche la sviluppo di nuovi farmaci: "Potremmo testare nuove molecole nella fase precoce di malattia e osservare cosa succede, nella speranza di arrestare la malattia conclude Orefice – dietro i diversi fallimenti di alcune sperimentazioni cliniche c'è il fatto che alcune sono state fatte troppo tardi, quando il danno era irrecuperabile. Agire prima significherebbe fare in modo che nessuno debba perdere il diritto ai propri ricordi".

 

FONTE: http://www.repubblica.it/salute/ricerca/2017/11/15/news/un_nuovo_modello_per_studiare_l_alzheimer-181150876/

 

 

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