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Diagnosi di Alzheimer. Alcuni biomarcatori sono più affidabili di altri

Apr 29 2016

“Abbiamo osservato quali biomarker nel CFS e nel sangue separano i pazienti con Alzheimer da individui cognitivamente normali e possono dividere pazienti con debole decadimento cognitivo che progredisce nell’Alzheimer da quelli che restano stabili”, spiega Bob Olsson dell’Università svedese di Gothenburg. Olsson e colleghi si sono concentrati su 15 biomarker nel liquor e nel sangue e hanno analizzato 231 articoli, coinvolgendo quasi 15.700 pazienti con Alzheimer e oltre 13 mila per il gruppo di controllo. 

 

I risultati dello studio 

 

Per i biomarker stabiliti, il rapporto medio di Alzheimer rispetto al gruppo di controllo è stato di 2,54 per il CFS T-tau, 1,88 per il T-tau e 0,56 per l’Abeta42 (tutti con p<0,0001). “La validità di T-tau o P-tau come marcatori è stata stabilita all’unanimità; tutti gli studi hanno avuto un rapporto di Alzheimer sul controllo maggiore di uno”, scrivono i ricercatori. “I risultati sono anche stati significativamente coerenti per l’Abeta42 nel liquido cerebrospinale, con confronti che hanno trovato l’Alzheimer rispetto a un rapporto di controllo di meno di uno”. Anche per decadimento cognitivo lieve dovuto alla demenza comparato a quello stabile, le associazioni corrispondenti sono state forti: al 1,76, 1,72 e 0,67.

 

Inoltre, la proteina del neurofilamento leggero (NFL) nel liquor e il T-tau nel plasma hanno avuto una significativa dimensione dell’effetto nella differenziazione tra gruppo di controllo e i pazienti con Alzheimer. Quelli di CSF enolasi neurone specifica (NSE), visinin-like protein 1 (VSNL1), proteina cardiaca legante gli acidi grassi (HFABP) e YKL-40 sono stati ritenuti “moderati”. Altri biomarkers valutati, affermano i ricercatori, “avevano solo dimensione dell’effetto marginale o non distinguere tra controllo e campioni dei pazienti.” 

 

I commenti 

 

Per Olsson i risultati “saranno utili sia nella routine clinica sia nei trial”. Ha poi aggiunto che, anche se si può essere ragionevole credere che questi risultati valgano a livello individuale, “non abbiamo studiato questo nel nostro lavoro. Abbiamo solo guardato al problema a livello di gruppo e quindi la ricerca necessita di ulteriori approfondimenti”.


Commentando i risultati, Anne Fagan, professoressa di neurologia alla Washington University School of Medicine di St. Louis, sostiene che “una metanalisi dettagliata e completa dei report pubblicati nelle performance diagnostiche dei marcatori del liquor nell’Alzheimer è lontana da venire, e Olsson e colleghi hanno effettuato un ottimo lavoro sviluppando una risorsa importante per quest’ambito”.

 

FONTE: http://www.quotidianosanita.it/scienza-e-farmaci/articolo.php?articolo_id=39026

 

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