Tra gli effetti della pandemia Covid-19 c’è la diminuzione di colf e badanti irregolari. È quanto mette in evidenza un’indagine effettuata da Domina, l’Associazione nazionale famiglie datori di lavoro domestico. Nel 2020, anno caratterizzato dal coronavirus e dalla conseguente crisi economica, se da una parte l'Italia ha registrato una forte contrazione del numero di occupati (-456 mila), il settore del lavoro domestico è stato caratterizzato da un aumento della componente regolare (+7,5%) dopo anni di stagnazione.

 

Picco di assunzioni a marzo, ottobre e novembre 2020

 

Osservando la dinamica mensile, nel 2020 le assunzioni hanno superato i licenziamenti di quasi 124 mila unità, mentre l'anno precedente il saldo era pari solo a 15 mila.In particolare, andando ad esaminare i dati mese per mese, viene messo in evidenza come le assunzioni abbiano registrato un picco nel mese di marzo (primo «lockdown») e nei mesi di ottobre e novembre (nuove restrizioni anti-Covid e primi effetti della regolarizzazione dei lavoratori stranieri). Se nel 2019 il saldo non aveva mai superato quota 12 mila, andando anche in negativo nei mesi estivi (più cessazioni che attivazioni), nel 2020 ha sfiorato le 30 mila unità nel mese di marzo e superato quella quota a ottobre e novembre (in occasione della seconda ondata della pandemia). In particolare, viene spiegato nell’indagine di Domina, quei picchi sono dovuti ad aumenti di assunzioni (intorno a quota 60 mila), presumibilmente riconducibili alla regolarizzazione di lavoratori domestici, altrimenti impossibilitati a proseguire l'attività a causa delle misure restrittive.

 

Traina la componente colf

 

Confrontando il 2019 e il 2020 per tipologia di rapporto, l’indagine mette in evidenza come il saldo assunzioni-cessazioni nel 2019 fosse trainato dalla componente «badante» per oltre il 77%, mentre nel 2020 il rapporto si è invertito, con la componente «colf» a pesare per oltre il 64%. Le motivazioni di questo nuovo scenario, osserva ancora Domina, possono ricercarsi in due fattori che hanno agito in concomitanza: normalmente la badante lavora un maggior numero di ore e rappresenta una figura più stabile per una famiglia datore di lavoro, quindi il lavoro informale è meno diffuso in questa categoria rispetto alle colf che lavorando solo poche ore a settimana. Per questo, le restrizioni dovute alla pandemia hanno influito sulle scelte delle famiglie, che hanno preferito avviare nuovi contratti di lavoro per avere la certezza della presenza del lavoratore. A questo si è aggiunta la «sanatoria» (inserita nel decreto Rilancio 34/2020), che però produrrà effetti più massicci nel 2021.

 

Lombardia e Lazio prime per assunzioni

 

A livello regionale, nel periodo 2020 il maggior numero di assunzioni di lavoratori domestici si è registrato in Lombardia (91.278) e Lazio (65.005), ma la crescita delle assunzioni rispetto al 2019 è stata maggiore in Campania, Puglia e Basilicata. Per quel che riguarda le cessazioni anche in questo caso i valori maggiori si registrano nelle regioni con più lavoratori domestici (Lombardia e Lazio), ma la crescita rispetto alle assunzioni è più contenuta e supera il 10% solo in Veneto, Marche, Puglia, Basilicata e Sicilia.

 

In tutte le regioni saldi positivi tra assunzioni e cessazioni

 

Questo andamento di assunzioni e cessazioni porta ad avere saldi positivi in tutte le regioni, con alcune peculiarità per alcune regioni del sud.Come abbiamo visto per il dato nazionale, l'incremento è dovuto principalmente al boom di assunzioni registrate a marzo, ottobre e novembre. Le assunzioni sono cresciute soprattutto nelle regioni del sud, infatti sono quasi raddoppiate in Basilicata e Puglia, mentre in Campania sono cresciute del 66%. Presumibilmente per una sorta di “regolarizzazione gestita dal basso” dalle famiglie datori di lavoro.

 

FONTE: https://www.ilsole24ore.com/art/nell-anno-covid-meno-colf-e-badanti-irregolari-picco-assunzioni-marzo-ottobre-e-novembre-2020-AEB6b7b

 

Quando si assume un lavoratore in nero, ossia senza regolarizzarlo, si va incontro a una serie di conseguenze di carattere amministrativo. Si parla cioè di sanzioni che non rientrano nel penale. Tuttavia, gli importi possono essere particolarmente elevati e questi si applicano sia ai casi in cui il datore di lavoro è un’azienda che a quelli in cui è una semplice persona fisica. Ecco perché, alla luce del fatto che il lavoro domestico è quello dove più spesso si verificano illeciti di tale tipo, è bene sapere cosa si rischia ad assumere una badante in nero. Gli stessi rischi che riguardano il caso dell’assunzione irregolare di una colf, di un giardiniere o di qualsiasi altro soggetto che, con regolarità, svolge un’attività lavorativa alle dipendenze altrui.

 

Di tanto parleremo in questo articolo. Spiegheremo cioè quali conseguenze rischia il datore di lavoro che, in questo caso, è colui che ha stretto il contratto verbale con la bandate. Ma procediamo con ordine.

 

 

BADANTE IN NERO: QUANDO ?

 

Come facilmente intuibile, non basta stabilire un accordo verbale con la badante, retribuendola con puntualità e cadenza mensile, per essere in regola con la legge. La lavoratrice, infatti, prestando attività periodica – anche se non giornaliera – si considera comunque una dipendente e come tale deve essere inquadrata.

 

In buona sostanza, il datore è tenuto a rispettare tutte quelle trafile burocratiche che si devono adottare per ogni lavoratore dipendente.

 

In particolare, per assumere una bandate italiana sono necessari:

 

- la lettera di assunzione da far firmare alla badante, nella quale vi sia il contenuto minimo prescritto dal contratto collettivo per il lavoro domestico (dati anagrafici, documenti di identità, codice fiscale e recapiti di entrambe le parti, luogo di lavoro, inquadramento, eventuale convivenza, orario settimanale, mansioni, eventuale scadenza del contratto, paga oraria o mensile);

- la comunicazione di assunzione da trasmettere all’Inps (recante gli stessi dati della lettera di assunzione) online, tramite sito web.

 

Bisogna poi verificare il pagamento dei contributi online relativamente a ogni trimestre dell’anno.

 

Invece, per assumere una badante straniera è necessario fare ulteriori adempimenti per i quali sarà bene rivolgersi a un Caf o a un consulente del lavoro.

 

 

BADANTE IN NERO: QUALI SONO I RISCHI CON LO STATO ?

 

Se la badante è una cittadina italiana o straniera regolare, i rischi per il datore di lavoro si limitano solo al campo amministrativo per quanto riguarda i rapporti con lo Stato. In particolare:

 

- se la badante ha svolto attività in nero per non oltre 30 giorni, c’è una sanzione da un minimo 1.800 euro a un massimo 10.800 euro;

 

- se la badante ha svolto attività in nero per non oltre 60 giorni, la sanzione parte da un minimo di 3.600 euro e arriva ad un massimo di 21.600 euro;

 

- se la badante ha svolto lavoro in nero per oltre 60 giorni, la sanzione oscilla tra un minimo di 7.200 euro e un massimo di 43.200.

 

BADANTE IN NERO: QUALI SONO I RISCHI CON LA LAVORATRICE ?

 

Non meno gravi sono i rischi che si corrono nei confronti della lavoratrice. Quest’ultima infatti potrebbe avviare una vertenza di lavoro e chiedere:

 

- tutti gli stipendi maturati durante il rapporto di lavoro, il cui pagamento il datore non è in grado di dimostrare con modalità tracciabili. Il che significa che se la bandate è stata sempre pagata in contanti, quest’ultima potrà chiedere tutte le mensilità dal primo giorno di assunzione fino all’ultimo, fingendo di non aver ricevuto nulla. È possibile far valere tale diritto fino a cinque anni dopo la cessazione del rapporto di lavoro;

 

- le differenze retributive: ciò succede quando il datore di lavoro è in grado di dimostrare l’avvenuto pagamento delle mensilità ma queste sono di importo inferiore rispetto a quanto stabilito dal contratto collettivo nazionale. Anche in questo caso, il termine di prescrizione è di cinque anni decorrenti dalla cessazione del rapporto lavorativo;

 

- i contributi previdenziali: per ogni mese di retribuzione, sono dovuti anche i contributi previdenziali non versati dal datore di lavoro all’Inps;

 

- il Tfr ossia il trattamento di fine rapporto che spetta nella misura di una mensilità di stipendio per ogni anno lavorato;

 

- le ferie e i permessi non goduti;

 

- l’indennità di preavviso per la cessazione in tronco del rapporto di lavoro.

 

 

Per far valere tali diritti, la badante può rivolgersi all’Ispettorato territoriale del lavoro, un organo amministrativo che chiederà un colloquio con il datore di lavoro per tentare una mediazione e fare in modo che questi versi bonariamente il dovuto, diversamente rischiando le sanzioni.

 

In alternativa, la lavoratrice può rivolgersi al tribunale ordinario, per mezzo del proprio avvocato, affinché ingiunga al datore di lavoro il pagamento di tali somme.

 

Si consiglia di rivolgersi ad Agenzie per il Lavoro interinali come Vitassistance che si assume tutte le responsabilità burocratiche ed amministrative per la ricerca, l'assunzione e la somministrazione di personale domestico in modo che il cliente non abbia più nessuna responsabilità di chi si mette a casa.

 

FONTE: https://www.laleggepertutti.it/467587_cosa-si-rischia-ad-assumere-una-badante-in-nero

 

 


Di recente molte società stanno proponendo servizi agli anziani e alle famiglie fornendo lavoratori domestici “assunti” con la forma contrattuale del Co.Co.Co. , ovvero un contratto di lavoro dove il lavoratore dovrebbe svolgere le sue mansioni in totale autonomia e senza organizzazione, controllo e direzione da parte del committente. In parole povere sia la società che la famiglia utilizzatrice non hanno nessun controllo e nessun potere sul lavoratore che svolge l’incarico in piena autonomia.


Addirittura vi sono associazioni e sindacati “sconosciuti”, che hanno stipulato contratti collettivi rendendo autonomi i lavoratori che normalmente sono considerati subordinati.  Questo è dovuto alla legge chiamata Jobs Act che ha introdotto la possibilità, in casistiche particolari, di utilizzare i contratti di collaborazione continuativa al posto dei tradizionali contratti di lavoro subordinati in presenza di un accordo sindacale (ad oggi anche i sindacati sconosciuti hanno gli stessi poteri di quelli più rappresentativi e tali contratti da loro firmati acquistano legalità come se fossero stati firmati dai sindacati più rappresentativi).


Le società che utilizzano questi Co. Co. Co. risultano a norma fino a quando il rapporto di lavoro risulta effettivamente autonomo sia verso la società che verso la famiglia utilizzatrice della prestazione lavorativa. 

 

Ovviamente verso la società è chiaro che non si crea un rapporto subordinato in quanto la prestazione viene resa alla famiglia che ne ha pieno controllo.  Quindi anche se sottoposti a ispezione dell’ispettorato del lavoro, una società che opera in questo modo può passarla liscia senza ricadere nella somministrazione di lavoro o nel lavoro interinale in quanto i rapporti dei lavoratori con la società stessa sono di tipo autonomo e non vi è subordinazione.


Però, risulta chiaro che questo approccio ha parecchi punti deboli e soprattutto espone le famiglie, i lavoratori ma anche gli imprenditori di queste società “abusive” a dei rischi molto gravi.


Infatti risulterebbe facile per un lavoratore provare che il rapporto di lavoro è subordinato verso la famiglia presso cui lavora (e non verso la società). Il lavoro di badante (anche con formazione o qualifica) o di colf è ovviamente un lavoro organizzato e diretto dalla famiglia, che ne ha anche il controllo totale sia degli orari che della qualità del lavoro svolto. Pertanto se venisse provato che il rapporto di lavoro è subordinato rispetto alla famiglia, vi sarebbero i seguenti aspetti  da considerare:


1) La società che ha fornito il lavoratore verrebbe sanzionata pesantemente per somministrazione illecita di lavoro, in quanto queste società utilizzano la formula Co.Co.Co proprio perché non hanno autorizzazione ministeriale per poter fornire lavoratori subordinati, ovvero non sono agenzie interinali autorizzate dal ministero del lavoro e quindi commettono reato nel momento in cui il rapporto di lavoro con la famiglia risulta subordinato verso la famiglia stessa.


2) La famiglia utilizzatrice verrebbe costretta a riqualificare il rapporto di lavoro direttamente con il lavoratore domestico utilizzando il giusto contratto di lavoro basato sul CCNL domestico e pagando eventuali differenze retributive e qualunque altra tutela che queste società abusive potrebbero non aver pagato al lavoratore. Se per esempio questa società abusiva non avesse versato i giusti stipendi o i giusti contributi, o non avesse assicurato il lavoratore contro gli infortuni o non avesse pagato degli stipendi arretrati, la famiglia sarebbe solidale in tali pagamenti e in tali responsabilità legali.

 

Inoltre le società non iscritte all’albo delle agenzie interinali non offrono nessuna garanzia economica. Per esempio se questi collaboratori non venissero pagati dalla società che li “intermedia”, la famiglia sarebbe solidale nel pagamento, e rischierebbe di pagare oltre alla fattura, anche lo stipendio, più ovviamente tutte le tutele previdenziali e assistenziali.

 

Inoltre se la società non assicurasse il collaboratore ed esso si facesse male a casa vostra, chi ne sarebbe responsabile? 

 

Se il rapporto venisse configurato come subordinato e non come autonomo cosa accadrebbe?

 

Queste società che eludono il lavoro interinale, che garanzie offrono? 

 

Che capitali sociali hanno per garantire il pagamento degli stipendi e dei contributi inps?


Si tratta spesso di cooperative sociali che possono chiudere e riaprire con un altro nome proprio perché non hanno nulla da perdere, ovvero non hanno nessuna garanzia finanziaria e nessun capitale sociale a tutela di lavoratori e famiglie.


Questi sono i rischi di affidarsi a società che non sono riconosciute come agenzie interinali.


Persino gli imprenditori stessi di queste società “abusive”, che vengono spesso illusi dal fatto che con questi contratti Co.Co.Co possono operare nel settore ed eludere la somministrazione di lavoro o il lavoro interinale, possono passare delle grane se dovessero essere provati i rapporti di lavoro subordinato con le famiglie.


Un altro svantaggio per questi imprenditori, che costruiscono il loro successo e il loro business su questo approccio, è che il giorno in cui i Sindacati e il Governo si organizzeranno e vi sarà un vero concetto di rappresentanza sindacale più rappresentativa, questi contratti collettivi che autorizzano l’uso del  Co.Co.Co. diventeranno contratti Pirata non più tollerati e l’intero business costruito da questi imprenditori verrebbe azzerato in quanto il loro modello non sarebbe più accettato (ora è accettato nel senso che solo su denuncia diretta di un lavoratore i rapporti possono essere riqualificati quindi il rischio per loro è molto basso e capita raramente)


Come noto, i lavoratori domestici vengono di norma assunti direttamente dalle famiglie o dalle agenzie interinali regolarmente autorizzate e iscritte all’albo del Ministero del Lavoro. 

 

Sia Famiglie che agenzie interinali utilizzano il contratto collettivo nazionale del lavoro domestico (CCNL domestico) per gestire i rapporti di lavoro subordinato (Datore di lavoro - dipendente).

 

Le tutele in caso di assunzione diretta o in caso di assunzione con agenzie interinali regolarmente autorizzate sono altissime mentre se ci si affida a società che non offrono garanzie e non sono autorizzate i rischi per le famiglie e per i lavoratori sono molto alti.


In conclusione:


1) è facile dimostrare che una Colf o Badante svolge lavoro subordinato presso una famiglia.


2) Se questa subordinazione venisse rivendicata o provata, le società che forniscono lavoratori Co.Co.Co verrebbero sanzionate per somministrazione illecita di lavoro (sarebbero delle false agenzie).


3) Le famiglie che si sono avvalse di queste false agenzie, nonostante abbiano pagato delle fatture molto onerose,  si assumeranno comunque tutti i rischi legali di eventuali infrazioni fatte dalla società (falsa agenzia), per esempio differenze retributive , contributive o assistenziali.


4) Se governo e sindacati troveranno l’accordo per fare una legge sulla rappresentanza sindacale, tutti questi sindacati “sconosciuti” che hanno stipulato contratti pirata non saranno più presi in considerazione e gli imprenditori che hanno costruito i loro affari su questi contratti  si troveranno in una situazione di illegalità totale.  Questo potrà avvenire domani o tra dieci anni, tuttavia questi imprenditori vivono nell’incertezza e non dormono sonni tranquilli.


Che tu sia una persona che ha bisogno di un lavoratore domestico o che tu sia un imprenditore del settore, affidati ad agenzie interinali o agenzie di somministrazione di lavoratori regolarmente autorizzate dal Ministero Del Lavoro. Solo così potrete avere certezze e tutele anche sul lungo periodo.

La rete dell’assistenza a lungo termine agli anziani, per funzionare bene, deve disporre di servizi di assistenza domiciliare (ADI) e residenzialità assistita (RSA) adeguati e diffusi sul territorio. Essi rappresentano uno dei pilastri su cui si fondano sostegno e cure offerte agli anziani, eppure risultano ancora carenti rispetto ai 14 milioni di anziani residenti in Italia.

Lo dicono i dati del Ministero della Salute che ha ricalcolato al ribasso il numero dei cittadini che nel 2018 hanno beneficiato di questi servizi: solo il 2% degli over-65 è stato accolto in RSA e solo 2,7 anziani su 100 hanno ricevuto cure a domicilio, con incredibili divari regionali: in Molise e in Sicilia più del 4% degli anziani può contare sull’ADI, mentre in Calabria e Valle d’Aosta si stenta ad arrivare all’1%.

“L’ADI, che in Italia cresce troppo lentamente, più lentamente di quanto crescano i cittadini che ne avrebbero bisogno, è il vero cortocircuito di una buona continuità assistenziale. È evidente il ritardo dell’Italia in questo campo, anche rispetto agli altri Paesi europei: per ogni ora di assistenza a domicilio erogata nel nostro Paese, all’estero si arriva anche a 8-10 ore”, spiega Roberto Bernabei, Presidente di Italia Longeva, la Rete Nazionale di Ricerca sull’invecchiamento e la longevità attiva.

 

Quasi 1 italiano su 4 ha più di 65 anni, con una rilevante fetta di popolazione – oltre 2 milioni di persone – che supera gli 85 anni: siamo un popolo longevo, ma in molti casi i nostri anziani sono soggetti fragili, affetti da multimorbilità, cioè la concomitanza di più patologie, con ridotta autosufficienza e costretti all’assunzione contemporanea di più farmaci.

Chi si prende cura di questi pazienti, quando i problemi da gestire sono così tanti, e tutti insieme? Quando i reparti degli ospedali sono sovraffollati o c’è una piccola emergenza e correre al Pronto Soccorso sarebbe eccessivo? C’è una “terra di mezzo” in grado di rispondere a bisogni tanto complessi e diffusi, che si sostanzia in un concetto organizzativo: la continuità assistenziale. Continuità perché mette in comunicazione ospedale, comunità e domicilio, per prendersi cura dei pazienti anziani fragili, indicandogli un percorso e non lasciandoli mai da soli.

È questo il tema al centro della prima Indagine sulla continuità assistenziale in Italia, curata per Italia Longeva da Davide Vetrano, geriatra dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma e ricercatore al Karolinska Institutet di Stoccolma, in collaborazione con la Direzione Generale della Programmazione sanitaria del Ministero della salute, e presentata nel corso della quarta edizione degli “Stati Generali dell’assistenza a lungo termine”, la due giorni di approfondimento e confronto sulle soluzioni sociosanitarie a supporto della Long-Term Care in corso a Roma al Ministero della Salute.

 

Buone pratiche di continuità assistenziale in Italia

 

La ricerca si sofferma su 17 tra le esperienze più virtuose messe in campo dalle Aziende sanitarie locali e ospedaliere in otto regioni (Basilicata, Emilia Romagna, Lazio, Liguria, Lombardia, Marche, Toscana e Umbria). Si tratta di 8 best practice di gestione delle cosiddette dimissioni difficili e 9 modelli efficienti di organizzazione delle reti territoriali.

Esperienze regionali, perché la continuità assistenziale è in primis presenza sul territorio, attraverso l’organizzazione di una rete di servizi sociosanitari capillare, flessibile e facilmente accessibile, in grado di offrire un’assistenza personalizzata e multidisciplinare.

Italia Longeva, nella sua indagine, oltre a descrivere il funzionamento di reti di servizi territoriali a copertura regionale, si sofferma ad analizzare 4 dei percorsi terapeutico-assistenziali più complessi, che riguardano pazienti con demenza, malattia di Parkinson e piaghe da decubito, dai quali emerge l’importanza di disporre di una fitta e ben concertata multidisciplinarietà a livello delle singole Aziende sanitarie.

 

Nelle buone pratiche di continuità assistenziale analizzate, uno dei protagonisti della rete è il medico di medicina generale, che però non agisce più come singolo, ma opera in sinergia con altri colleghi (ad esempio nelle Case della salute) e indossa il camice del medico di reparto (come nel caso degli Ospedali di comunità).

La collaborazione tra i diversi professionisti facilita il ‘viaggio’ del paziente durante i suoi molteplici contatti con la rete territoriale, sgravandolo dalle incombenze legate a prescrizioni, prenotazioni e liste d’attesa. “La continuità assistenziale è una forma di efficientamento del sistema: un servizio concreto per i cittadini, che tende a una migliore assistenza e alla semplificazione dei processi”, commenta ancora il prof. Bernabei.

E l’ospedale? Si occupa delle emergenze e delle patologie acute, ma nelle buone pratiche prese in esame dialoga pure con il territorio per la gestione del rientro in comunità (dimissioni protette). Nei 7 modelli di dimissione protetta analizzati, la sinergia massima tra ospedale e territorio si realizza quando sono le stesse Centrali di continuità territoriali ad entrare in ospedale per prendere in carico il paziente prossimo alla dimissione, o addirittura, quando è l’ospedale stesso che accompagna il paziente durante il processo di dimissione dall’ospedale verso il proprio domicilio continuando a prendersene carico anche dopo.

 

“Una buona continuità assistenziale si delinea già al tempo zero, dall’arrivo in Pronto Soccorso – continua il prof. Bernabei – Quando il paziente esce dall’ospedale non è abbandonato a se stesso, con tutti i relativi oneri burocratici, ma c’è qualcuno che gli semplifica la vita nel rientro in comunità. È il sistema che agisce in una logica proattiva, predisponendo, ad esempio, il trasferimento presso strutture riabilitative e RSA, attivando l’assistenza domiciliare senza che sia il paziente a dover rincorrere uffici comunali e consorzi, o ancora dando all’anziano la possibilità di ricevere farmaci e ausili a domicilio, e prenotare visite di controllo da remoto”.

Un paracadute insomma, che si dispiega sul territorio, ma presuppone l’esistenza di strutture di riferimento per i casi critici, nonché di un’adeguata infrastruttura informatica, senza la quale gli attori della rete non riescono a dialogare: ed è quest’ultima un’altra area di notevole miglioramento, tanto quanto l’utilizzo delle tecnologie (monitoraggio a distanza del paziente, impiego di presidi tecnologici, ecc.), essenziali per realizzare una presa in carico efficace, continuativa e sostenibile.

 

“L’Italia, si sa, viaggia a diverse velocità – conclude il prof. Bernabei – ci sono esempi d’avanguardia, ma pure aree che stentano a decollare. Alcuni snodi della continuità assistenziale risultano ancora insufficienti, giacché la loro efficacia si dovrebbe fondare su una buona organizzazione. Da ciò trae ispirazione il nostro impegno: vogliamo far emergere le esperienze migliori, e mutuarle in zone del Paese sempre più vaste”.

 

FONTE: https://www.insalutenews.it/in-salute/anziani-continuita-assistenziale-e-cure-domiciliari-litalia-viaggia-a-diverse-velocita/

 

 

Quante sono le badanti straniere nel nostro Paese? E quante di loro lavorano in regola? Il censimento fatto dall'organizzazione umanitaria Soleterre fornisce numeri importanti.

Risulta infatti che le lavoratrici domestiche migranti si prendono cura di un milione di anziani, ma che due su tre sono senza tutele.
Il rapporto "Lavoro domestico e di cura. Buone pratiche e benchmarking per l'integrazione e la conciliazione della vita familiare e lavorativa" è stato presentato alla Camera lo scorso 16 giugno in occasione della Giornata internazionale dei lavoratori domestici. Condotto in collaborazione con Irs (Istituto per la ricerca sociale) e finanziato dal Fondo europeo per l'integrazione, ha analizzato le cifre e le condizioni di lavoro e di vita di questi lavoratori. Emerge che sempre più famiglie in Europa affidano i propri cari - bambini, anziani, disabili - e la propria casa a lavoratori domestici e di cura. Si tratta soprattutto di stranieri, per la maggior parte donne, spesso vittime di discriminazioni riguardo ai loro diritti e alla protezione sociale.


Ci sono molte differenze in Europa, che si divide in due blocchi. Nei Paesi con migrazione fortemente regolata e servizi di cura pubblici ben strutturati i lavoratori domestici e di cura, anche stranieri, sono occupati prevalentemente in modo regolare. Così in Danimarca, Regno Unito e Francia. In quelli con un'offerta più debole di servizi assistenziali e regimi migratori meno gestiti l'assunzione è invece a titolo individuale e spesso irregolare, come in Spagna, Grecia e Italia. Anche se, vista la crescente necessità sociale, si stanno diffondendo le iniziative degli enti locali e dei privati del settore.
In Italia si stimano oltre 830mila badanti, un numero molto alto, se si considera che i dipendenti del Servizio sanitario nazionale sono circa 646mila. La maggior parte delle badanti è di origine straniera (ben il 90%) e lavora senza contratto. Sul totale infatti il 26 per cento non ha un regolare permesso di soggiorno, il 30,5 per cento ha un permesso regolare ma non un contratto, mentre solo il 43,5 per cento lavora in regola. La condizione di irregolarità, il riconoscimento solo parziale dei diritti e la difficoltà a raggiungere un'autonomia abitativa sono i fattori che incidono maggiormente sulla qualità della vita e sulla possibilità di conciliazione tra vita e lavoro per queste lavoratrici.


In particolare incidono sulla possibilità di un ricongiungimento con i propri figli lasciati in patria. La maggior parte delle badanti infatti è costretta ad abbandonare il Paese d'origine per mantenere se stesse e le proprie famiglie e a vivere lontano dai figli, i cosiddetti "orfani bianchi". Una situazione che crea profondo disagio psicologico nelle donne e che dal 2006 ha portato a parlare nei paesi dell'Est di "sindrome Italia" per definire lo stato depressivo di molte lavoratrici domestiche rientrate dopo anni di lavoro nel nostro Paese e anche di molti loro bambini o ragazzi. Una sindrome che ha favorito l'insorgere di comportamenti a rischio sociale ed educativo.


"In Italia gli occupati in questo settore - dice Alessandro Baldo, responsabile Programma migrazioni di Soleterre - sono quintuplicati in meno di dieci anni, soprattutto per via dell'aumento delle lavoratrici straniere, con un numero di anziani assistiti che si può ragionevolmente stimare intorno al milione. Un contributo fondamentale e preziosissimo al fabbisogno di servizi di cura e di assistenza familiare che la nostra società, in costante invecchiamento, denota. Eppure è un'occupazione ancora percepita come qualcosa di diverso dal lavoro 'regolare', quasi un 'non lavoro'. Culturalmente si fatica ad evolversi dalla considerazione di un'attività caratterizzata da rapporti informali e totalizzanti. Per questo, oltre che all'adozione di normative che garantiscano le tutele di queste lavoratrici, occorre sensibilizzare gli enti locali e le famiglie che si avvalgono del loro servizio a riconoscerne e tutelarne le condizioni di benessere psicosociale e di conciliazione dei tempi di vita, famiglia e lavoro. Oltre a riconoscere l'impatto sociale e il debito di cura che tale sistema genera come ricaduta sulle società di partenza".

 

FONTE: http://www.ilgiornale.it/news/lesercito-delle-badanti-italia-due-su-tre-non-sono-regola-1144790.html

Badanti, la truffa delle agenzie di servizi a domicilio

 

«Massima attenzione a ingannevoli pubblicità e a brochure lasciate in bella vista all’'interno degli uffici dell’' Asl. Le agenzie che operano nel settore della fornitura di servizi a domicilio di colf, badanti e baby sitter sono fiscalmente irregolari, totalmente vietate dalla normativa». Il monito arriva dalla direzione Territoriale del Lavoro che ha recentemente concluso accertamenti su due ditte che operavano a Genova. «È emerso il ricorso da parte di queste agenzie al lavoro nero e all’utilizzo di figure contrattuali scorrettamente applicate - spiega l’' ispettrice al lavoro Barbara Maiella -.

 

Questo vuol dire evasione fiscale e contributiva e sfruttamento dei lavoratori impiegati». I numeri dell’operazione parlano chiaro: 53 lavoratori in nero (44 dei quali impiegati in una sola ditta); 27 errate tipologie di contratto applicate; 130mila euro di contributi e premi recuperati e 450mila sanzioni applicate. Si aggiungono anche due notizie di reato trasmesse alla Procura per abusive attività di intermediazione tra domanda e offerta del lavoro e ricerca e selezione del personale.


Dall’' indagine dell’' Ispettorato al Lavoro risulta che le tariffe applicate alle famiglie, clienti dell’' agenzia, sono del tutto sproporzionate rispetto al costo orario della prestazione versata al lavoratore. In pratica ogni famiglia versa all’' agenzia un corrispettivo maggiore di quello che invece sosterrebbe regolarizzando direttamente il lavoratore senza figure intermediarie. «È importante che si comprenda il rischio - aggiungono Patrizia Bernardini e Antonella Pignatelli responsabili della vigilanza ordinaria -. Intendiamo lanciare un messaggio chiaro: queste strutture alimentano un mondo sommerso di irregolarità. Non sono previste agenzie di scambio di manodopera che alimentano soltanto lavoro nero e irregolare.

 

Ad essere ingannate sono le famiglie disposte a pagare di più per essere esonerate da problematiche reali come la ricerca di una badante per un familiare anziano e malato. Si arriva a sborsare anche 3mila euro. Ingannato è anche il lavoratore stesso che viene pagato dai 5 ai sette euro a fronte di un costo medio di 14 euro che la ditta richiede. Paradossalmente colui che offre disponibilità a lavorare deve anche pagare per essere inserito nelle liste da cui la ditta attinge personale. E il danno maggiore sta nel fatto che spessissimo il lavoratore non viene neanche retribuito».

 

FONTE: http://www.ilgiornale.it/news/badanti-truffa-delle-agenzie-servizi-domicilio.html

 

 

 

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Redazione cedolini buste paga
Redazione Modelli Unico 101
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